La Corte dei Conti ha avviato un’indagine sui rapporti tra la struttura commissariale per l’emergenza Covid, allora guidata da Domenico Arcuri, e alcune operazioni di sdoganamento di mascherine provenienti dalla Cina. Il centro di questa inchiesta, come riporta il quotidiano La Verità, riguarda oltre un miliardo di euro in mascherine giudicate non conformi, con risvolti contabili ancora da accertare.
Ci sono poi una serie di conversazioni tra mediatori e funzionari pubblici, acquisite dagli inquirenti, che fanno capire chiaramente le pressioni esercitate per superare i rilievi delle Dogane e avviare la distribuzione dei dispositivi nonostante certificazioni giudicate dubbie.
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Inchiesta sulle mascherine, chi è stato indagato e perché
Ma partiamo dall’inizio. Nel 2020, in piena emergenza Covid, l’Italia affidò consistenti commesse di mascherine a fornitori cinesi. L’appalto più noto fu quello assegnato a JC Electronics & Asia, per circa 800 milioni di pezzi, poi annullato. In seguito, il Tribunale di Roma aveva stabilito che lo Stato deve risarcire oltre 203 milioni di euro alla Jc Electronics per l’annullamento giudicato illegittimo di quella commessa.
Nell’audizione parlamentare è emerso che il totale delle forniture nel 2020 superava 1,2 miliardi di euro di mascherine e dispositivi di protezione, per i quali rimangono dubbi sulla sicurezza e sull’effettiva conformità agli standard.
Mentre la Corte dei Conti avvia le sue verifiche, la Procura di Roma aveva già messo mano al dossier mascherine nel 2022. L’indagine penale coinvolgeva, tra gli altri, l’imprenditore Mario Benotti e Antonio Fabbrocini, allora responsabile unico del procedimento.
Nel gennaio 2025, però, il procedimento si è chiuso: il Gip di Roma ha prosciolto Domenico Arcuri, spiegando che il fatto non costituisce più reato, dopo una modifica normativa introdotta dal governo. Sul piano penale la questione si è fermata lì. Ma ora resta in piedi il filone contabile: la Corte dei Conti dovrà stabilire se e quanto le operazioni di acquisto abbiano generato un danno economico per lo Stato.

Cosa dice la commissione parlamentare sull’operato di Arcuri
Anche la Commissione parlamentare d’inchiesta sul Covid si sta muovendo per capire cosa sia successo. Alcuni deputati hanno segnalato un documento del 2020 in cui si parlava di forti pressioni per far passare mascherine prive dei requisiti richiesti. Secondo La Verità, nelle chat acquisite compaiono i nomi di Daniele Guidi, Andrea Tommasi e Nicolas Venanzi, tutti coinvolti nei contatti con la struttura commissariale.
Dalle conversazioni emerge un quadro caotico: certificati tradotti in fretta, pressioni per sbloccare le spedizioni e controlli doganali da superare a ogni costo. Fabrocini, allora responsabile del procedimento, seguiva tutto da vicino, e avrebbe chiesto aggiornamenti, nel tentativo di cercare scorciatoie. La Guardia di Finanza ha segnalato che molte certificazioni erano incomplete o non valide, e che il materiale veniva comunque fatto passare grazie a un documento anonimo.
Il tono delle chat è concitato, a tratti preoccupato. C’è chi parla apertamente di certificazioni false, chi propone soluzioni improvvisate, chi teme guai con le Dogane. Secondo gli inquirenti, invece di informare la Procura, la struttura avrebbe avvisato solo i mediatori. E così, nonostante tutto, milioni di mascherine sono entrate in Italia e sono state usate da personale sanitario e forze dell’ordine.