Lavorare per vivere o vivere per lavorare, questo è il dilemma. Ce lo risolve l’articolo 22-ter dell’ultimo decreto anticrisi, convertito in legge questa estate, che regala a un trentenne di oggi 3 anni e10 mesi di lavoro in più .
E’ uno degli effetti – calcolati dalla società di analisi Progetica – dell’ultimo intervento sulle pensioni (in ordine di tempo), che ha introdotto nell’ordinamento previdenziale un principio decisamente nuovo: l’età pensionabile collegata alle aspettative di vita. In sostanza il momento della pensione si andrà progressivamente spostando in avanti in rapporto all’allungamento della vita media calcolato dall’Istat.
Per i più giovani pensione a 72 anni
Le nuove regole si aggiungono, e in qualche modo completano, il meccanismo degli scalini introdotto dal precedente governo Prodi. Il nuovo sistema partirà nel 2015 con un allungamento dell’età lavorativa di soli 3 mesi. Ma di lì in avanti la pensione è destinata a farsi sempre più lontana. Secondo il modello utilizzato per i calcoli, la vita media cresce di 1 anno ogni 5. L’età pensionabile aumenterà di conseguenza, secondo scaglioni parametrati sulle aspettative di vita, fino al 2049 quando serviranno 72 anni per gli uomini e 67 per le donne, cioè 7 anni di lavoro in più rispetto a oggi.
E prenderemo anche meno
In teoria col nuovo sistema contributivo – che commisura la rendita pensionistica ai contributi effettivamente versati nell’arco della vita lavorativa – questo dovrebbe significare pensioni più alte. Si lavora di più, si versa di più e quindi si dovrebbe avere una pensione maggiore. Ma non sarà così. Interviene infatti l’altro provvedimento sulle pensioni che prevede la riduzione dei coefficienti di sostituzione, cioè il rapporto tra contribuzione e rendita. E l’allungamento della vita non è sufficiente a compensare la perdita.