Il giro delle danze è iniziato. A ritmo lento, per ora, ma non è esclusa una piroetta acrobatica o un doppio passo mozza fiato. Soprattuto in prossimità delle elezioni amministrative del 26 e 27 maggio.
Il luogo dell’evento non è una discoteca, ma palazzo Chigi. E non si tratta di balli, ma della più prosaica concertazione tra governo e parti sociali sulle riforme.
Sul tavolo le questioni aperte sono molte, ma ne spiccano due particolarmente delicate: la previdenza e il rinnovo del contratto del pubblico impiego. Su quest’ultima punto il confronto, rinviato a mercoledì prossimo, pesa lo spettro dello sciopero generale di categoria.
Successivamente sarà il turno della previdenza, le cui ipotesi di riforma prevedono un graduale aumento dell’età e una parziale revisione dei coefficienti di rivalutazione.
Nell’architettura del progetto di riforma preme sull’esecutivo una necessità estremamente impellente: il recupero del consenso elettorale in vista dell’appuntamento elettorale di fine primavera. Se questo è l’obiettivo ci potrebbe essere qualche decisione ad effetto, come l’abolizione dell’Ici o dello scalone previdenziale, utilizzando il tesoretto extra gettito.
Soluzione che, però, non piace Padoa-Schioppa. Il ministro dell’Economia, pur confermando la buona salute dei conti pubblici, è ben consapevole che un assalto alla diligenza potrebbe rendere vano il lavoro e i sacrifici fino ad oggi sostenuti, con il rischio di dare un brusco colpo di frena alla ripresa economica.
Coefficienti in cambio dello scalone
Sicuramente sarà abolito lo scalone introdotto dalla legge Tremonti-Maroni (quello che prevede l’innalzamento dell’età pensionabile a 60 anni dal 2008). Questa soluzione è chiaramente indicata nel programma elettorale dell’Unione ed ben accettata dai sindacati.
Ma la coesione nella maggiornza e con le parti sociali finisce qui. Le ipotesi di riforma, necessarie per mantenere in equilibrio il sistema e per recuperare la perdita di gettito garantita dallo scalone, sono già state oggetto di critica.
Il progetto di ridefinizione della previdenza, in corso di elborazione presso i tecnici dell’Economia, prevede l’introduzione di tre scalini, ovvero un innalzamento dell’eta – ritenuto inevitabile – più morbido. Dal 2008 l’uscita dal lavoro passerebbe da 57 a 58 anni, per salire a 59 nel 2010 e quindi a 60 nel 2012 (e non nel 2008 come previsto dalla legge Tremonti-Maroni). Una soluzione diversa potrebbe essere l’introduzione del sistema delle quote, stabilite sommando l’età e gli anni di contribuzione. Dal 2008 si andrebbe in pensione al raggiungimento della quota 93, 57 anni di età e 36 di contributi, o 58 anni e 35 di contributi. Nel 2010 si passerebbe a 94 e nel 2012 si raggiungerebbe la quota 95.
Sulla revisione dei coefficienti, Padoa-Schippoa e lo stesso premier, Romano Prodi, hanno già dato parere favorevole. E anche in questo caso l’obiettivo è trovare una soluzione “morbida”, introducendo meccanismi di solidarietà a carico delle pensioni più alte, tutelando quelle più povere e fissando meccanismi di protezione contributiva per i lavoratori precari.
Allo studio ci sarebbe anche l’ipotesi di consentire ai lavoratori più giovani il riscatto a basso costo degli anni di università.
Mal di pancia
“Non sarà una passeggiata”, Guglielmo Epifani, segretaro Cgil, non poteva essere più chiaro. E certamente il percorso dell’esecutivo verso la riforma delle pensioni presenterà molti ostacoli. I presupposti ci sono tutti.
Va trovata una soluzione con i sindacati, attualmente fermi nel rifiutare la rimodulazione di coefficienti. Sembra, invece, meno aspro il confronto sull’età pensionabile e sull’introduzione dei tre scalini
Ma la compagine di maggioranza dovrà afforntare anche la forte opposizone interna. Dal segretario di Rifondazione, Franco Giordano, è arrivato un “no” secco all’aumento dell’età minima per andare in pensione e al taglio dei coefficienti. L’obiettivo, ripete da tempo Giordano, deve essere spostato “sull’risarcimento sociale, insieme con la lotta alla precarietà e all’innalzamento delle pensioni di base”. Ancora più duro Gianni Pagliarini dei Comunisti italiani e presidente della Commissione lavoro alla Camera, che giudica la revisione dei coefficenti un dramma sociale non sostenbile dai lavoratori.
Il governo, alla fine, dovrà ancora una volta fare i conti con la ridotta coperta parlamentare. A una prima valutazione l’esiguità della maggioranza rapportata all’obiettivo – riforma delle pensioni, tenendo sotto controllo la spesa – appare poco realizzazabile. A meno che si peschi tra le fila dell’opposizione – ipotesi poco realizzabile – oppure si partiscorsca un semplice riaggiustamento di basso profilo, ad oggi l’ipotesi più probabile -.
Fabio Cavallotti