Circa 140mila dipendenti pubblici che lasceranno in anticipo il lavoro, utilizzando lo scivolo di quota 100, rischiano di dover aspettare anche fino a 8 anni per la liquidazione.
È la beffa che si nasconde tra le norme inserite nel decreto legge per la riforma delle pensioni e per il reddito di cittadinanza: la buonuscita degli statali verrà pagata soltanto al momento in cui matureranno i requisiti previsti dalla legge Fornero, ossia una volta raggiunti i 67 anni.
La scelta del governo sarebbe dettata da motivazioni strettamente economiche: pagare subito il trattamento di fine servizio (Tfs) e di fine rapporto (Tfr) dei tanti dipendenti statali che andranno in pensione, rappresenterebbe un costo proibitivo per le casse dello Stato, circa 7 miliardi di euro da aggiungere ai 21 miliardi che già costa, in tre anni, la misura.
COSA DICE LA NORMA – Secondo la normativa, la liquidazione potrà essere incassata solo nel momento in cui saranno maturati i requisiti previsti dalla normativa Fornero, ossia 67 anni di età, o 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva. Il decreto prevede però, che rimangano in vigore anche le regole di liquidazione attuali della buonuscita. Oggi il Tfr e il Tfs vengono liquidati solo fino a 50 mila euro, mentre se l’importo supera i 50 mila euro, ma è inferiore a 100 mila euro, viene liquidato in due rate annuali (con un ritardo quindi di 12 mesi); se l’importo supera i 100 mila euro, le rate annuali diventano tre. Insomma, se un dipendente pubblico lasciasse il lavoro a 62 anni di età avendo versato 38 anni di contributi (come previsto da Quota 100), e avesse maturato una liquidazione superiore a 100 mila euro, per avere l’intera cifra dovrebbe aspettare i 70 anni.
TRATTATIVE CON LE BANCHE – Il governo sta provando a risolvere questo problema contrattando con l’Abi: l’idea è quella di ricevere un anticipo bancario che possa permettere agli statali di accorciare i tempi per ricevere il Tfs.