Le pensioni d’oro tornano al centro dell’agenda politica. “Quest’estate non ci sono i mondiali, ma presto avremo qualcosa da festeggiare: la fine delle pensioni d’oro e l’inizio di un’Italia più giusta”, ha scritto su Facebook il ministro del lavoro nonché vicepremier Luigi Di Maio, annunciando anche l’aumento delle pensioni minime.
Nel 2017, secondo l’Osservatorio sui flussi di pensionamento dell’Inps, le liquidazioni di pensioni sopra i 3mila euro sono aumentate passando dalle 16.015 del 2016 alle 20.041 certificate al 2 gennaio 2018. Il piano del governo quindi, ribadito oggi dal capo politico del M5S, prevede l’abolizione delle pensioni d’oro “che per legge avranno un tetto di 4.000/5.000 euro per tutti quelli che non hanno versato una quota di contributi che dia diritto a un importo così alto”. “Grazie al miliardo che risparmieremo potremo aumentare le pensioni minime”, ha aggiunto Di Maio.
Quanto costano
Le pensioni d’oro, superiori ai 3mila euro mensili, costano alla collettività circa 30 miliardi di euro all’anno, e rappresentano una grave forma di disuguaglianza economica e sociale. Lo afferma il Codacons, commentando la proposta del vicepremier, Luigi Di Maio, di intervenire sulle pensioni più alte. Confrontando gli ultimi dati Istat e Inps si scopre che in Italia sono poco più di un milione (il 6,8% del totale) le pensioni superiori ai 3.000 euro mensili, per un controvalore che sfiora i 30 miliardi di euro annui.
Il calcolo dei costi d’intervento
Di Maio resta sul vago parlando di “tetto di 4.000/5.000 euro”, in realtà i conti dicono che sarà necessario tagliare già dai 4.000. Recuperare un miliardo di euro dal taglio delle pensioni retributive (cioè quelle non calcolate integralmente sulla base dei contributi effettivamente versati) è tecnicamente possibile, ma solo a costo di una stangata che dovrebbe riguardare oltre 100mila pensionati, riducendo i loro redditi pensionistici di almeno il 10-15 per cento in media. Parliamo di tutti i pensionati che oggi ricevono uno o più assegni previdenziali per un importo complessivo superiore ai 4mila euro netti al mese.
Secondo i calcoli di Tabula, il centro studi fondato dall’economista e grande esperto di previdenza Stefano Patriarca, complessivamente le pensioni incassate in Italia costano il 20-25% in più rispetto ai contributi versati, fondamentalmente a causa delle vecchie e più generose regole previdenziali del passato, basate sul sistema retributivo. Per gli assegni più elevati, comunque, il vantaggio rispetto alla contribuzione effettivamente versata si riduce, poiché la legge impone rendimenti decrescenti sulle contribuzioni più elevate. Sempre secondo la simulazione, riportata dal quotidiano La Stampa, non sarebbe dunque sufficiente colpire le circa 30mila persone che ricevono redditi da pensione superiori ai 5mila euro netti al mese.
Per arrivare a quota 1 miliardo bisognerebbe invece intervenire ai danni di una platea molto più ampia di persone, oltre le centomila unità: ovvero, tutti coloro che ricevono dai 4.000 euro al mese netti di redditi da pensione complessivi, e non da una singola pensione. Comprese le vedove che cumulano la loro pensione e quella del coniuge scomparso, oppure chi arriva a 4.000 euro al mese aggiungendo all’ assegno previdenziale anche una pensione di invalidità da lavoro per un infortunio subito in passato.
Il rischio flat tax
Il miliardo risparmiato, dice l’esperto sempre a La Stampa, potrebbe essere sufficiente per innalzare le pensioni minime a 780 euro a circa 500mila anziani. Si stima che quelli che dovrebbero essere interessati dal provvedimento siano in tutto però tra i 2 e i 4 milioni. Dopodiché, conclude Patriarca, se poi venisse davvero varata anche la flat tax, però, si finirebbe in pieno paradosso. Oggi si ridurrebbero le pensioni d’ oro del 15%; domani la riforma tributaria, con lo sconto fiscale più vantaggioso per i più ricchi, le aumenterebbero del 30%.
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