Pensioni a rischio? Ecco tutti i conti dell’Inps

A pesare è soprattutto l'incorporazione dell'ex Inpdap e delle sue passività

Le pensioni degli italiani sono davvero a rischio? Se n’è parlato lo scorso autunno, allorchè il presidente dell’Inps Mastrapasqua lanciò l’allarme sui conti dell’istituto per poi fare parzialmente marcia indietro. Un rischio concreto di “default” al momento non c’è, ma le sofferenze dei conti sono evidenti sebbene il nostro sia considerato tra i sistemi previdenziali più sostenibili in Occidente.
I DATI – Nel 2013 lo stato ha dovuto trasferire all’ente 112,5 miliardi di euro, 6,9 miliardi di euro in più rispetto al 2012 (+6,6%). Nel 2014 i trasferimenti saliranno a 114 miliardi, e nel 2016 è previsto salgano a 122 miliardi. Nel 2008 lo stato trasferiva complessivamente 73 miliardi, che in soli cinque anni sono dunque aumentati del 53%. Nel 2012 i contributi versati dailavoratori ammontavano a 208 miliardi, mentre le prestazioni Inps valevano 295 miliardi. Una differenza di 87 miliardi, anche se riconducibile per 72 miliardi all’assistenza, ossia a quelle prestazioni erogate indipendentemente dai versamenti effettuati. Di questi, 17 miliardi sono il conto delle pensioni di invalidità. Complessivamente, le pensioni erogate sono state di 265 miliardi, sempre 57 miliardi in più dei contributi.
IL FARDELLO EX INPDAP – Il vero problema sembra essere la gestione ex Inpdap, l’ente previdenziale dei dipendenti pubblici, incorporato per legge dal governo Monti a partire dal 2012 nella cosiddetta Super-Inps. Se i conti dell’Inps erano in attivo, l’ex Inpdap ha invece un passivo di quasi 9 miliardi di euro all’anno, passivo che deve essere coperto dallo stato.
I TRUCCHI CONTABILI – I debiti dell’istituto sono conseguenza, almeno in parte, degli artifici contabili risalenti al governo Prodi del 2007. L’Inpdap fu istituito a metà degli anni Novanta, raccogliendo i versamenti precedentemente effettuati dai dipendenti alle amministrazioni pubbliche per cui lavoravano e pagando le prestazioni al posto di enti locali e centrali dello Stato. Poiché i contributi erano insufficienti a coprire le prestazioni, fu stabilito che fosse il Tesoro la differenza. Solo che nel 2007 il governo eliminò la previsione per cui tali pagamenti dello stato fossero considerati dovuti a tutti gli effetti, facendoli iscrivere a bilancio dell’ex Inpdap come anticipi di Tesoreria, ossia come debiti (crediti per lo stato). Così il bilancio statale veniva abbellito con un artificio contabile, mentre l’ente previdenziale veniva gravato di debiti.
I RISCHI – Ora che l’Inps ha incorporato l’ex Inpdap trovandosi gravato da queste passività e il rischio è che i lavoratori del settore privato debbano prima o poi mettere mano al portafoglio per risanare i debiti prodotti da versamenti insufficienti nel settore pubblico, dove il metodo retributivo va ancora per la maggiore e contribuisce a determinare prestazioni medie del 30% più alte. I meno fortunati pagheranno per i più fortunati? Forse no. Perché l’ultima legge di stabilità ha previsto un ritorno ai vecchi criteri, per cui i trasferimenti statali all’Inps non saranno più considerati anticipi di Tesoreria, quindi, non saranno più crediti per lo stato o debiti per l’ente.