La Legge 104 del 1992 pone dei limiti per quanto riguarda il trasferimento del dipendente. A sottolinearlo la Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 24015/2017 ha sottolineato quali sono i vincoli riguardanti trasferimento di un lavoratore che usufruisce dei permessi stabiliti dalla Legge 104/92 in caso di assistenza a familiari disabili. I giudici nello specifico hanno chiarito che il dipendente in questione non può essere trasferito in una sede di lavoro nuova nel caso in cui non sia prevista una nuova attività produttiva. Il rifiuto del lavoratore inoltre non rende legittimo il licenziamento.
Perché il divieto scatti, secondo i giudici, è necessario che ci sia un mutamento geografico del luogo in cui viene svolta la prestazione lavorativa. Inoltre nella valutazione del trasferimento di chi usufruisce della Legge 104/92, non si può fare riferimento al concetto di unità produttiva espresso dall’articolo 2103 del codice civile. Questo perché il dipendente gode di un particolare regime di protezione, che ha come primo obiettivo quello di tutelare il diritto del congiunto a mantenere le condizioni di assistenza invariate. Tutto nel rispetto di quanto stabilito dalla Costituzione, dalla Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 che salvaguarda i disabili, e dalla Carta di Nizza, in materia di misure volte all’inserimento social dei portatori di handicap.
La sentenza n. 24015/2017 della Corte di Cassazione spiega che: “Il trasferimento del lavoratore legittima il rifiuto del dipendente che ha diritto alla tutela di cui all’art. 33 c. 5 della L. n. 104 del 1992 di assumere servizio nella sede diversa cui sia stato destinato ove il trasferimento sia idoneo a pregiudicare gli interessi di assistenza familiare del dipendente e ove il datore di lavoro non provi che il trasferimento è stato disposto per effettive ragioni tecniche, organizzative e produttive insuscettibili di essere diversamente soddisfatte”.
Il trasferimento di un lavoratore che usufruisce della Legge 104/92 dunque è possibile solo in casi estremi, in cui l’azienda possa provare la presenza di un’esigenza organizzativa e produttiva. In tale situazione dovrà essere il datore di lavoro a provarne in modo chiaro l’esistenza.
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