Legge 104, ecco quando si rischia la sospensione per abuso

Chi abusa dei tre giorni di assistenza al disabile rischia sanzioni (fino al licenziamento) ma è prevista una certa flessibilità

L’abuso dei permessi della Legge 104 può portare alla sospensione e nei casi più gravi al licenziamento. La legge 104 dà diritto a tre giorni retribuiti di permesso al mese, anche continuativi, a tutti i lavoratori che assistono un parente fino al secondo grado con handicap in situazione di gravità. Chi approfitta di questi tre giorni al mese per svolgere altre attività non correlate all’assistenza al disabile rischia pene severe, ma recentemente la Cassazione ha aperto degli spiragli di flessibilità.

ABUSO E SANZIONI – L’abuso dei permessi retribuiti per l’assistenza di un familiare disabile si concretizza quando durante le ore di assenza da lavoro si svolgono mansioni diverse a quelle necessarie per l’assistenza del disabile.
Ciò non vuol dire che il lavoratore debba rimanere a casa o che i permessi legge 104 siano fruibili soltanto per scopi strettamente legati a cure mediche ma che, nel caso in cui le ore di permesso retribuite siano utilizzati per motivi totalmente estranei all’assistenza del familiare disabile, si tratterebbe di una vera e propria frode e quindi di abuso punito con relative sanzioni.
Il datore di lavoro può applicare sanzioni che portano al licenziamento per giusta causa del lavoratore titolare di permessi legge 104 qualora le ore di assenza dal lavoro siano utilizzate per svolgere attività personali diverse da quelle riconducibili all’assistenza.

FLESSIBILITA’ – Un recente orientamento della giurisprudenza, a partire da una sentenza della Cassazione dello scorso dicembre, ha stabilito che è possibile garantire ai lavoratori una maggiore flessibilità nell’uso dei permessi da Legge 104.
Secondo la Cassazione i tre giorni di permesso, a livello teorico, non servono solo a garantire una maggiore assistenza al disabile ma anche a concedere al lavoratore che assiste il parente handicappato “un breve spazio di tempo per provvedere ai propri bisogni personali“. Gli abusi vanno comunque puniti, ma non è necessario che il lavoratore dedichi tutto il suo tempo all’assistenza del disabile.
La Suprema Corte ammette che è impensabile pretendere che l’assistenza “continuativa” al parente disabile implichi una disponibilità del lavoratore di 24 ore al giorno. D’altronde, anche nei normali giorni di lavoro, quest’ultimo non può ovviamente dedicarsi all’assistenza del parente per buona parte della giornata. Giusto allora che l’aiuto alla persona handicappata sia fornito nei momenti di bisogno, e non necessariamente nelle specifiche ore durante le quali il lavoratore sarebbe altrimenti rimasto in ufficio. Abusi sarebbero, in questo caso, solo le attività totalmente disconnesse da ogni tipo di assistenza: ad esempio, come nel caso di specie, un viaggio o una vacanza.

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