Imposta di soggiorno: tutto quello che devi sapere su questa tassa

Abbiamo intervistato Rocco Salamone, presidente dell'Associazione Turismo e Ricettività, per fare un po' di chiarezza attorno a questo tema

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Redazione

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Chiunque sia abituato a viaggiare – per lavoro o per piacere – si è sicuramente imbattuto in una tassa, che fa aumentare di qualche euro il costo del pernottamento in una città. Stiamo parlando della tassa (o più precisamente, imposta) di soggiorno: si tratta di un contributo fisso, differente da città a città, che gli albergatori richiedono agli ospiti delle strutture. Solitamente si addebita come extra da aggiungere al costo complessivo della camera al momento del check-out, non senza stupore da parte dei viaggiatori meno esperti.

In Italia sono circa mille i comuni che la prevedono e – negli ultimi anni – l’avvento di player come Airbnb ha garantito un ulteriore incremento importante anche dall’affitto di appartamenti con finalità turistica.

Il regolamento che disciplina il pagamento della tassa di soggiorno varia a seconda delle località d’interesse artistico, culturale o turistico in cui si soggiorna e questo finisce – a volte – per aumentare i dubbi attorno a questa imposta. Proprio per cercare di fare un po’ di chiarezza attorno a questo tema così complesso e importante per il settore turistico, abbiamo pensato di porre tutte le domande che ci sono venute in mente a Rocco Salamone, presidente dell’ATR (Associazione Turismo e Ricettività), che riunisce gli albergatori e gli operatori del turismo e della ricettività dell’Area Metropolitana di Milano.

Visto che c’è un po’ di confusione a riguardo, iniziamo dalle basi: che cos’è la tassa di soggiorno?

Pur essendo nota come tassa va innanzitutto precisato che si tratta di un’imposta perché il suo pagamento non è correlato alla prestazione di un servizio dello Stato. Si tratta di un tributo che può essere istituito dai capoluoghi di provincia e dai comuni classificati come località turistiche o città d’arte e che viene pagato da chi soggiorna nelle strutture ricettive dei comuni che la applicano. In Italia era stata abolita prima dei mondiali di calcio del 1990 ed è stata reintrodotta nel 2011: oggi sono circa 1000 i comuni che la prevedono, inclusa Milano che l’ha introdotta a settembre 2012.

Chi riscuote questi soldi? 

Ogni Comune riscuote per sé con diversi metodi. Il Comune di Milano, ad esempio, utilizza come sostituti d’imposta le strutture ricettive. Inoltre ha stretto un accordo con Airbnb per riscuotere automaticamente il transato della piattaforma che include gran parte delle strutture extra alberghiere.

Quanto si raccoglie dalla tassa di soggiorno nella città di Milano e quanto di questo proviene da AirBnb?

Dai dati in nostro possesso a Milano si è passati da 42,2 milioni di euro nel 2017 a 49,9 milioni di euro nel 2018. Airbnb ha iniziato a raccogliere l’imposta da marzo 2018 e pensiamo che l’aumento degli incassi sia soprattutto merito loro, visto che dal 2015, anno dell’Expo, la cifra derivante dall’imposta di soggiorno era pressoché stabile. Da questi dati stimiamo il valore della raccolta di Airbnb in almeno 10 milioni di euro che prima erano dichiarati solo in parte dai proprietari.

Che ruolo ha l’Associazione Turismo e Ricettività all’interno di questa filiera e quale altre funzioni ricopre?

ATR nasce nel 2014 per rappresentare gli interessi delle strutture ricettive alberghiere ed extra alberghiere di Milano e provincia. Oggi contiamo circa 150 soci e assieme ad altre associazioni di categoria ci siamo battuti per migliorare il sistema di riscossione dell’imposta di soggiorno che nel 2012 è stato istituita senza una vera possibilità di confronto. Tra i miglioramenti ottenuti c’è stato ad esempio quello di passare da una rendicontazione manuale a un sistema informatico che si interfaccia con i nostri gestionali. Oggi siamo tra i principali interlocutori del Comune sulle questioni che riguardano la ricettività e diamo il nostro contributo anche per garantire camere e accoglienza per i principali eventi milanesi.

Che tipo di interventi vanno a finanziare la tassa di soggiorno e secondo quali regole?

La legge istitutiva della tassa di soggiorno (dlgs 23/2011) conteneva l’indicazione di destinare il gettito a “finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali”. Questa indicazione del legislatore è però interpretata in maniera diversa a seconda dei comuni. Se ad esempio guardiamo il bilancio preventivo 2018 del Comune di Milano, si prevedevano entrate per 44 milioni di euro (Fonte), di cui il 3% destinati poi al turismo.

La tassa di soggiorno viene fatturata? Se sì, come?

Sì e va esposta in fattura esente iva.

C’è un minimo di notti di soggiorno o è sufficiente pernottare anche solo una notte per doverla pagare?

Va pagata anche se si soggiorna solo una notte. A Milano cessa di essere applicata dalla 15° notte, una regola che però vale solo per chi soggiorna in residence e appartamenti.

Aumentando evidentemente il costo del pernottamento, la tassa di soggiorno potrebbe in qualche modo influire negativamente sulla competitività del settore?

Influisce senz’altro negativamente perché aumenta il divario di prezzo tra chi rispetta le regole sulle imposte e chi le elude.

Si può rifiutare di pagare la tassa di soggiorno? In quali casi?

Sì, ma non conviene: chi rifiuta di pagare deve compilare e firmare un modulo di autocertificazione che viene poi trasmesso dall’hotel al Comune che provvederà alle sanzioni del caso. Ci sono poi dei casi di esenzione: innanzitutto i residenti nello stesso comune, poi i minori, gli studenti, le persone in cura medica e gli appartenenti alle forze dell’ordine in servizio.

In che tipo di sanzioni incorre chi non paga la tassa di soggiorno?

Chi rifiuta il pagamento dovrebbe vedersi recapitato all’indirizzo di residenza l’importo da pagare con una cartella esattoriale del comune in cui ha soggiornato.
Vorremmo poi segnalare anche il regime sanzionatorio in cui incorre la struttura ricettiva che dovesse versare in ritardo al comune i soldi incassati: queste vanno incontro a pesanti sanzioni amministrative e a una possibile accusa di peculato che prevede pene fino a 10 anni di carcere.

La nazionalità influisce sull’importo della tassa di soggiorno? Per esempio, un romano che visita Firenze paga quanto un tedesco che visita la stessa città?

La nazionalità non influisce e non ci sono tariffe differenziate per gli stranieri. Ovvio che poi ciascun comune italiano ha la sua propria tariffa.

Funziona in maniera parallela in tutte le Regioni e i Comuni d’Italia o vi sono delle differenze? Se sì, di che tipo?

La norma nazionale consente ai comuni di introdurre l’imposta con “un sistema graduale, in proporzione al prezzo”. Ciascun Comune poi adotta il proprio regolamento tariffario che nella gran parte dei casi è stato agganciato alla categoria dell’hotel, più semplice da contabilizzare ma a nostro parere meno equo. La differenza principale tra i comuni risiede nel costo della tassa di soggiorno, ad esempio a Milano va dai 2 ai 5 euro, a Roma dai 3 ai 7 euro per persona al giorno.

Esistono delle alternative alla tassa di soggiorno che permettano di far sostenere anche ai turisti i costi di mantenimento delle nostre città?

L’ideale sarebbe quella di trasformare l’imposta di soggiorno in un’imposta di scopo, vincolata per legge ad un utilizzo molto più specifico nell’ambito dei servizi ai turisti: miglioramento delle infrastrutture, dei trasporti e della sicurezza in città e non solo investimenti in cultura, eventi e attività di promozione come accade oggi.