Carlo Cottarelli: “MES e Recovery Fund sono strumenti utili. PIL? Difficile tornare a prima”

Dal MES alle riaperture, dal Decreto Rilancio al Quantitative Easing: intervista a Carlo Cottarelli, direttore dell'Osservatorio Conti Pubblici italiani.

Foto di Andrea Bertolucci

Andrea Bertolucci

Giornalista esperto di Lifestyle

Classe 1990, Andrea Bertolucci è un giornalista e autore specializzato in cultura giovanile, lifestyle, società ed economia dell’intrattenimento. La sua attività professionale lo ha avvicinato negli anni ad alcune tra le principali redazioni televisive e web nazionali. Andrea è considerato uno dei maggiori esperti di cultura Trap nel nostro Paese.

Carlo Cottarelli è tra i più noti volti dell’economia italiana, oltre ad essere direttore dell’Osservatorio Conti Pubblici dell’Università Cattolica e Visiting Professor all’Università Bocconi. Qualche mese fa lo avevamo intervistato in video per commentare la misura “Italia Cashless” e parlare della spending review, di cui Cottarelli è stato “commissario straordinario”.

Oggi lo scenario macroeconomico è ovviamente molto cambiato: le priorità dei Governi e della BCE si sono spostate su quelle che lo stesso Cottarelli definisce “misure difensive”. Lo abbiamo intervistato per parlare del nuovo “Decreto Rilancio”, del MES e delle fatidiche riaperture.

Da sostenitore delle riaperture, che effetto le ha fatto vedere le foto e i video della movida nelle varie città d’Italia?
Io sono a favore delle aperture con le dovute precauzioni, quello che ho visto nelle foto lo giudico un comportamento totalmente irresponsabile. Camminando a Milano, tra ristoranti e bar, mi capita di vedere persone troppo vicine e senza mascherina. Evidentemente non tutti si stanno attenendo alle regole, che sono anche norme di buonsenso.

In questi mesi di smart working, l’Osservatorio sui Conti Pubblici che lei dirige su cosa si è concentrato?
Abbiamo fatto una serie di studi collegati al Coronavirus: dal nuovo programma di acquisti di titoli pubblici della BCE fino alle eccessive differenze di tassazione dei profitti delle imprese. Ci siamo occupati anche di sanità e addirittura degli effetti del lockdown sulla mobilità delle persone, utilizzando i dati di Google.

Avete lavorato anche sul PIL?
In termini di proiezioni, appena c’è stato l’annuncio del lockdown abbiamo fatto una stima sul PIL e siamo riusciti a centrare in pieno la successiva stima dell’ISTAT.

Negli scorsi giorni ha parlato di un possibile quanto preoccupante scenario in cui il PIL scenda oltre i 10 punti percentuali.
E’ uno scenario in cui già siamo completamente immersi, l’ordine di grandezza di cui parla il Governo è attualmente di – 8,3% e il Fondo Monetario di – 9,1%. Questo situazione comporterà un recupero nella seconda parte dell’anno e a dir la verità, già il mese di maggio dovrebbe essere meglio di quello di aprile. Il problema è che partendo da molto in basso, con tutta probabilità neanche il prossimo anno arriveremmo a recuperare il livello del 2019.

Se lei fosse oggi al Governo – magari come Ministro dell’Economia – quali sono le prime tre misure che adotterebbe?
Quello che sta facendo il Governo in termini di misure difensive è corretto. Bisogna iniziare però da subito a pensare ad un piano di investimenti pubblici e mi auguro davvero che lo stiano già facendo. Per il resto è fondamentale puntare – come del resto ha detto anche Conte – sulla burocrazie e la giustizia, che sono anche due dei sette peccati capitali che ho inserito nel mio libro.

Giustizia in che termini, di semplificazione?
Velocità. E ovviamente per raggiungere la velocità devi per forza semplificare. Certo, se leggo il Decreto Rilancio non è sicuramente ispirato a grandi criteri di semplificazione. Se contiamo le parole che contiene, è lungo tre volte il “Care Act” americano e contiene all’incirca 500/600 diverse misure o azioni da compiere, mentre negli Stati Uniti sono meno di 100.

Tra tutte queste 600 misure o azioni, secondo lei manca qualcosa nel Decreto, per esempio una patrimoniale?
Non è il momento di introdurre nuove tasse, quello che manca davvero sono gli investimenti. Molte di queste azioni compensano la perdita di reddito e sono misure difensive, ma non si percepisce invece un’azione propulsiva vera, a parte qualche singolo caso come l’Ecobonus, la spesa per la sanità e la pubblica istruzione. Per ora le cose stanno andando bene soprattutto grazie alla rete di protezione della BCE: speriamo non ci siano imprevisti.

A proposito di questo Superbonus 110%, molti lo hanno accolto positivamente. Lei vede delle criticità?
Se l’obiettivo è quello di far fare investimenti per l’ambiente, credo vada bene. Il sistema però va a scaricare in qualche modo il peso sugli anni futuri.

Entriamo nel vivo del MES. Quali sono le assicurazioni che le condizionalità – presenti nel trattato istitutivo – non tornino a galla dopo questa fase?
Se le condizioni iniziali sono queste a livello legale, non si può introdurre nuove condizionalità su quel prestito. In realtà la maggior parte delle obiezioni non sono tanto su questo punto, quanto sulle conseguenze derivanti dalla sorveglianza rafforzata, che secondo alcuni porterebbe implicitamente a chiedere un altro programma con la condizionalità effettiva.

Il ripristino del patto di stabilità a fine emergenza potrebbe influire?
Potrebbero ripristinarlo in ogni caso, anche se non accettiamo il MES. Il punto è proprio questo: se ci vogliono mettere in difficoltà lo possono fare anche senza MES. Allora – per lo meno – prendiamoci questi 36 miliardi.

Diversi economisti hanno definito poco utili strumenti come il MES e il Recovery Fund, sostenendo che solo l’acquisto illimitato di titoli possa sostenere l’eurozona e i paesi in difficoltà come l’Italia.
Qualcuno pensa che stampare troppi soldi adesso potrebbe causare inflazione in futuro e all’interno della BCE può esserci quindi un’esitazione ad aumentare ulteriormente gli acquisti. Fra l’altro, se noi adesso prendiamo a prestito a tasso zero, non fa un enorme differenza rispetto a stampare soldi. Quindi no, io credo che il Recovery Fund, così come il MES, sia una cosa utile. Ricordiamoci un altro elemento: se l’inflazione dovesse andare su la BCE potrebbe doversi trovare nella necessità di vendere titoli di Stato per riassorbire la liquidità, ovvero il contrario di quello che sta facendo adesso. E in tutto questo la BCE sta continuando a ripetere: “Non possiamo fare tutto da soli”, lo diceva prima Draghi e lo dice oggi la Lagarde.

Questo ha sottolineato un problema strutturale dell’eurozona, un’area monetaria comune priva di una vera armonizzazione fiscale. Potrebbe essere gli stessi tedeschi alla fine a far saltare l’eurozona?
E’ possibile, ad un certo punto potrebbero stancarsi di vedere la BCE che implementa politiche a loro sfavorevoli. Non è un caso che molti di coloro che in Italia si dichiarano favorevoli ad un Italexit, in realtà fanno il tifo per la Corte Costituzionale Tedesca pensando che saranno proprio loro a far saltare l’euro.

Tempo fa lei aveva parlato di un rischio “psicologico” nell’essere i primi a ricorrere al MES. Vorrei chiederle se pensa lo stesso anche ora, alla luce dell’immobilismo nostro ma anche di Spagna, Grecia e Portogallo.
Come ho detto e continuo a pensare, i rischi sarebbero minori se ci fosse una richiesta fatta da un altro grande Paese, tipo la Spagna. Però tutto sommato credo che il rischio sia oggi abbastanza basso, dopo tutti i chiarimenti che sono stati dati.

Le chiedo in conclusione uno scenario politico: il Governo ha appena superato la prova Bonafede, quali sono gli altri punti critici che dovrà affrontare?
L’incognita vera è la tenuta dell’economia. Io credo che il Governo andrà avanti, ma bisognerebbe iniziare già a maggio a vedere qualche segno di ripresa. Se l’economia non si dovesse riprendere, allora anche la tenuta del Governo diventerebbe più difficile.