Randagismo in Italia: quanto ci costa e perché è alimentato dal mercato nero dei cani

Nonostante l'Italia sia uno dei Paesi con più animali domestici in Europa, due gravi problemi pesano sulla situazione dei cani e dei gatti: il randagismo e la vendita illegali dei cuccioli

In Italia una famiglia su tre ospita almeno un componente a quattro zampe, per un totale di oltre 32 milioni di animali da compagnia nelle case degli italiani, principalmente cani. La Penisola è il secondo Paese in Europa per numero di pelosi domestici. Questo dato non è però necessariamente legato all’amore per gli animali dei nostri connazionali, che, spesso per mancanza di strumenti per comprenderli, alimentano due fenomeni che danneggiano proprio i cani, ovvero il mercato nero dei cuccioli e il randagismo.

Per Coldiretti e l’Osservatorio sulle Agromafie il business illegale dei cani coinvolge oltre 400 mila cuccioli, con un giro di affari da 300 milioni di euro all’anno, che contribuisce all’economia sommersa e grava sulle spalle dei contribuenti e degli allevatori onesti. Si tratta di uno dei fenomeni criminali più diffusi, che riguarda direttamente e indirettamente un ampio numero di famiglie.

Gli animali domestici entrano nelle nostre case in diversi modi. Si stima che la provenienza degli amici a quattro zampe delle famiglie italiane sia divisa come segue.

  • Il 20,7% è stato regalato.
  • Il 19,3% arriva da una struttura di ricovero.
  • Il 17,1% arriva dalla strada.
  • Il 13% arriva da un allevamento.
  • Il 12,3% è stato comprato in un negozio.
  • L’11,4% è stato comprato da conoscenti o privati.
  • Il 5,7% è figlio di un altro animale domestico ed è stato tenuto.
  • Lo 0,5% è stato acquistato sul web.

I dati del mercato nero dei cani maltrattati

Tra questi canali si insidia il mercato nero. Un fenomeno che va dalla semplice vendita di cuccioli da parte di privati senza qualifiche e certificazioni, e ovviamente senza fattura, fino a una vera e propria tratta di animali dall’estero. Vengono portati in Italia a poche settimane di vita, spesso prima di essere stati svezzati ed educati alla socialità e senza microchip. Passano le frontiere con documenti falsi, che ne attestano la finta origine italiana e riportano l’ottima salute del cane, con vaccini e controlli medici spesso mai eseguiti.

Gli animali sono trasportati in contenitori con doppi fondi e chiusi, stipati in camion che percorrono lunghi tragitti, senza cibo né acqua. Molti non sopravvivono alla traversata. Chi arriva in Italia viene imbottito di farmaci per apparire sano ed essere venduto anche da negozi e allevamenti certificati, per mancanza di disponibilità di esemplari e per abbattere i costi delle pratiche corrette.

Ma l’acquisto di un cucciolo a prezzo ridotto può nascondere insidie anche economiche, oltre che etiche. Con un risparmio fino all’80% e prezzi che vanno dai 60 ai 1.200 euro, gli animali del mercato nero non sono sottoposti ad adeguati controlli e sono spesso maltrattati. Questo si traduce in alti costi per le cure veterinarie e un’aspettativa di vita molto bassa rispetto ai cani provenienti dagli allevamenti legali, anche a fronte del fatto che pur di non spendere cifre esorbitanti sul cucciolo malato, questo viene abbandonato.

Quali norme regolano il randagismo in Italia

Se da una parte tanti italiani sono disposti a spendere anche molti soldi per avere un nuovo amico a quattro zampe da inserire in famiglia, dall’altra c’è un Paese con un altissimo numero di randagi che invece potrebbero beneficiare delle cure domestiche. La lotta al randagismo è prevista da una legge di 30 anni fa, la numero 281 del 30 agosto 1991.

Questa prevede la promozione da parte dello Stato di comportamenti e azioni contro i maltrattamenti animali e l’abbandono, al fine di tutelare anche la sanità pubblica e l’ambiente. La norma prevede la sterilizzazione di cani e gatti e la cattura dei cani che vagano in libertà. Gli animali che entrano nei ricoveri non possono essere soppressi, e se non reclamati entro 60 giorni possono essere ceduti a privati mediante l’adozione.

I numeri e i problemi del randagismo in Italia

Nel 2020 è stato stanziato dallo Stato un fondo da un milione di euro, e sono entrati nei canili sanitari ben 76.192 cani e nei rifugi 42.665. Nello stesso anno le adozioni sono state solo 42.360. A pesare su questi numeri ha contribuito anche l’epidemia di Covid, con la diffusione di fake news sulla trasmissione del coronavirus da cani e gatti.

Anche senza contare gli ospiti di lunga data delle strutture, mai presi in considerazione perché malati, anziani o per via di pregiudizi nei confronti di alcune razze, i pelosi ancora in cerca di una famiglia e curati da volontari e personale sanitario l’anno scorso sarebbero comunque la metà. Quelli catturati inoltre sono una piccola percentuale di tutti i randagi, che per carenza di fondi, spazi e personale non possono essere presi in carico.

Il fenomeno del randagismo, nonostante i rigidi controlli da parte delle autorità, continua a essere alimentato dall’abbandono degli animali, in particolare di femmine gravide che poi mettono alla luce cuccioli che riescono a sopravvivere, cibandosi di spazzatura o nutriti da volontari che pensano di fare il bene dell’animale. Nonostante la proverbiale docilità del migliore amico dell’uomo, animali traumatizzati e mai socializzati possono avere comportamenti aggressivi, magari in branco, tanto verso gli altri cani quanto verso gli esseri umani e il bestiame, rappresentando un pericolo per la comunità e l’economia.

Cosa sono i cani di quartiere e come si tutelano

Il sistema presenta evidenti falle, e gli animalisti che si occupano già di curare i randagi hanno chiesto più volte un cambio di rotta alle istituzioni, con modelli che premino non solo le adozioni ma anche gli interventi sul territorio, oltre a maggiori investimenti pubblici. L’azione dei canili e di tante associazioni, in cui magari non sono presenti figure titolate sul comportamento dei cani e a conoscenza della normativa sul randagismo, è inoltre criticata dagli specialisti del benessere animale.

Spesso infatti non vengono presi in considerazione i cani di quartiere, che pure sono riconosciuti da una circolare del Ministero della Salute di 20 anni fa, la numero 5 del 2001. Sono animali che sono accuditi da comunità dove non rappresentano un problema per le attività umane e se stessi. Docili e abituati alla presenza dell’uomo, raggiungono tale status solo dopo un iter che varia di regione in regione ma che in genere prevede le opportune visite mediche, la sterilizzazione, la somministrazione dei vaccini e l’inserimento del microchip a nome del Comune di residenza.

I perfetti candidati come cani di quartiere sono però soventemente catturati da volontari e strutture, e magari trasportati a chilometri di distanza attraverso le staffette, con adozioni di animali che partono dal Sud e arrivano nelle regioni meridionali. A volte questi cani non riescono a integrarsi nei nuclei in cui vengono forzatamente inseriti, con un alto rischio di essere abbandonati in territori lontani da quelli familiari, sviluppando comportamenti che invece li rendono a tutti gli effetti dei randagi.

Gatti randagi: le critiche al sistema normativo

Il sistema attuale prevede inoltre fondi solo per la sterilizzazione di gatti e non per la loro cura in gattili, oasi feline e colonie controllate. Solo nel 2020 sono stati sterilizzati 61.749 felini, ma non è chiaro quanti siano effettivamente stati adottati o catturati. Lasciati liberi, i comuni gatti domestici sono veri killer in miniatura. Sono cacciatori instancabili che uccidono non solo per necessità ma anche per divertimento e che possono causare danni ambientali irreparabili.

Sterilizzarli e rimetterli in circolazione, dunque, non sembra la scelta più green, anche se molti esperti sottolineano la natura ancora selvatica di questi animali, che storicamente non hanno vissuto un processo di domesticazione analogo a quello dei cani, e il loro benessere all’aria aperta. Il randagismo, sia felino che canino, è insomma un problema dalle tante sfaccettature e senza soluzioni semplici o immediate, che deve essere combattuto partendo dalle case degli italiani, con campagne di informazione mirate alla prevenzione dell’abbandono e a supporto della sterilizzazione degli animali domestici e ulteriori incentivi all’adozione.