L’area definita come Great Pacific Garbage Patch (Gpgp) si trova tra le Hawaii e la California ed è nota per essere la più imponente zona oceanica in cui si concentra il maggior numero di rifiuti di plastica.
Una vera e propria isola di plastica nel Pacifico dovuta all’accumulo di rifiuti galleggianti spinti in quell’area dalle correnti e del vortice oceanico che caratterizza la zona. Gran parte dei detriti sono frammenti di plastica di dimensioni ridotte, addirittura microscopiche.
Ripulire il Great Pacific Garbage Patch, scoperto nel 1988 dai ricercatori della National Oceanic and Atmospheric Administration, è l’obiettivo del progetto Ocean CleanUp, attivo dal 2013. Attraverso degli innovativi dispositivi la fondazione ha annunciato di voler eliminare il 50% della plastica intrappolata nel vortice del Pacifico del Nord nell’arco di 5 anni.
Questa operazione se da un lato vanta numerosi sostenitori, dall’altra non sono pochi gli scienziati che ne mettono in discussione l’utilità dal momento che il sistema di filtraggio messo a punto non funzionerebbe per le microparticelle di plastica (troppo piccole per essere filtrate), e potrebbe danneggiare gli organismi marini planctonici che vivono alla superficie dell’acqua. Alcuni esperti fanno notare poi che la maggior parte dei rifiuti plastici si trova lungo le coste e non in mezzo all’oceano. Ripulire mari e oceani potrebbe quindi non essere sostenibile e di certo non rappresenta la soluzione al problema.
Quale dovrebbe essere allora la via da percorrere? Bisognerebbe intervenire a monte con un’efficiente gestione dei rifiuti urbani, in modo da evitare che tonnellate di plastica si riversino nel mare. Un’economia circolare, capace di migliorare il ciclo produttivo, l’uso e lo smaltimento della plastica, riducendo gli sprechi, potrebbe dare un grosso contributo alla causa.