Stop al pagamento dell’Imu per i coniugi che risiedono e dimorano abitualmente in due case differenti, indipendentemente dal comune in cui si trovano. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale che con una sentenza reintroduce l’esenzione sulla prima casa anche per quella diversa dalla principale, dichiarando illegittima la norma del Decreto Salva Italia del 2011, emanato dal governo Monti, che regola l’imposta sugli immobili.
Imu, la sentenza della Consulta cambia tutto: la norma sull’esenzione
Secondo quanto stabilito dall’art. 13 comma 2 del dl 201/2011, marito e moglie sono, infatti, costretti a indicare quale delle due abitazioni di proprietà è la principale e a pagare l’Imu sull’altra, considerata come seconda casa.
La norma valeva fino ad oggi solo per i coniugi, mentre i semplici conviventi potevano possedere due case di proprietà, una a testa, senza pagare l’imposta sugli immobili perché entrambe abitazioni principali.
La sentenza n. 209 della Corte Costituzionale elimina questa distinzione, proprio per evitare che costituisca una discriminazione nei confronti delle coppie che decidono di unirsi in matrimonio o con unione civile.
Nelle motivazioni depositate dal giudice della Consulta, Luca Antonini, si legge che “nel nostro ordinamento costituzionale non possono trovare cittadinanza misure fiscali strutturate in modo da penalizzare coloro che, così formalizzando il proprio rapporto, decidono di unirsi in matrimonio o di costituire una unione civile“.
“In un contesto come quello attuale – si spiega – caratterizzato dall’aumento della mobilità nel mercato del lavoro, dallo sviluppo dei sistemi di trasporto e tecnologici, dall’evoluzione dei costumi, è sempre meno rara l’ipotesi che persone unite in matrimonio o unione civile concordino di vivere in luoghi diversi, ricongiungendosi periodicamente, ad esempio nel fine settimana, rimanendo nell’ambito di una comunione materiale e spirituale”.
La Consulta chiarisce come sia compito di Comuni e istituzioni effettuare poi i dovuti controlli nella circostanza in cui coniugi si intestino una proprietà a testa per non pagare le tasse anche sulla seconda casa.
La dichiarazione di illegittimità costituzionale, specifica infatti la Corte Costituzionale “non determina in alcun modo una situazione in cui le ‘seconde case’ ne possano usufruire” (qui per leggere l’approfondimento sulla sentenza della Consulta riguardo l’esenzione dell’Imu).
Imu, la sentenza della Consulta cambia tutto: cosa cambia
La decisione della Consulta ribalta dunque la normativa sull’imposta sugli immobili e apre così alla possibilità da parte del cittadino di chiedere rimborso.
Secondo quanto spiegato da Confedilizia, le domande e i ricorsi devono essere presentati presso il comune a cui si è versata l’Imu facendo riferimento proprio alla sentenza 209/200 della Corte Costituzionale. L’associazione che rappresenta i proprietari di casa ha inoltre suggerito come gestire la novità prendendo in considerazione situazioni diverse:
- i contribuenti che hanno pagato per la prima volta l’Imu a giugno, ad esempio, possono non pagare il saldo di dicembre chiedendo il rimborso della prima rata;
- coloro che hanno pagato a partire da cinque anni fa fino alla rata di giugno 2022 può chiedere il rimborso con una istanza specifica per ogni anno di pagamento indebito;
- i proprietari che hanno ricevuto un avviso bonario per non aver pagato può ricorrere invece, se è ancora nei tempi, all’autotutela, con un iter meno complesso del ricorso;
- chi ha già ricevuto l’accertamento per non aver pagato, infine, può proporre un ricorso e se l’iter di accertamento si è concluso con il pagamento la richiesta di rimborso si può presentare solo entro 18 mesi dalla conclusione (qui avevamo spiegato cosa succede se si paga l’Imu in ritardo e le relative sanzioni).