Sì alla candidatura di Ucraina e Moldavia: scoppia la rivolta, Ue a rischio?

L'ok del Consiglio europeo al cammino europeo di Kiev e Chisinau accende lo scontento di altri Paesi che battono alle porte dell'Ue da anni

Il Consiglio europeo ha dato formalmente il via libera allo status di candidato all’ingresso nell’Ue a Ucraina e Moldavia, accogliendo le raccomandazioni della Commissione. Una decisione che promette di cambiare gli equilibri internazionali e interni al Vecchio Continente, ma che innesca un processo che sarà lungo e complesso prima di giungere all’ok definitivo all’adesione dei due Paesi (ma quanto ci vorrà e quanto ci costerà? Ne abbiamo parlato qui).

L’istituzione che riunisce i Capi di Stato e di governo dell’Unione europea ha ribadito la necessità per il Paese invaso dalla Russia di dotarsi di riforme fondamentali per allinearsi alla condizione degli altri Stati membri, soprattutto per quanto riguarda lo Stato di diritto. La decisione ha però provocato il forte malcontento di nazioni che già aspettavano in coda di fronte alle porte d’Europa.

La decisione del Consiglio europeo sull’Ucraina

La luce verde da parte di Bruxelles allo status di candidato all’adesione rappresenta una mossa principalmente simbolica per l’Ucraina al momento, un’ulteriore dimostrazione del sostegno finora espresso soprattutto in ambito militare. Una mossa non priva di rischi anche grandi, visto che si parla di un Paese coinvolto in un conflitto feroce che potrebbe comprometterne l’integrità territoriale. Dei requisiti, delle tappe, delle prospettive e delle problematiche legate all’esito positivo dell’iter di ingresso nell’Ue abbiamo parlato qui.

“È un grande giorno per l’Europa, ma i Paesi candidati dovranno fare i compiti a casa”, ha commentato Ursula Von Der Leyen riferendosi alle riforme da intraprendere. Alle parole della numero uno della Commissione Ue hanno fatto eco quelle del presidente ucraino Volodymyr Zelensky: “È un momento unico e storico, il futuro dell’Ucraina è nell’Ue”. Anche il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha sottolineato a Ucraina e Moldavia: “Il nostro futuro è insieme”.

I casi di Moldavia e Georgia

Come l’Ucraina anche la Moldavia aveva avanzato formale richiesta di adesione all’Ue, sempre poco dopo l’invasione russa del 24 febbraio. Il piccolo Stato, incastrato tra Romania e Ucraina, è guidato ormai da due anni da una presidente filo-europea, l’ex economista della Banca Mondiale Maia Sandu. Anche la Moldavia dovrà però affrontare un lungo cammino, che parte sempre dalle necessarie riforme strutturali.

Il Consiglio europeo ha poi aperto a una “prospettiva europea” anche per un altro Paese da sempre nelle mire egemoniche della Russia: la Georgia. La nazione che confina a nord con la Federazione e a sud con Turchia, Armenia e Azerbaigian aveva inoltrato la medesima richiesta: ottenere lo status di candidato all’ingresso nell’Ue. Al momento però i Capi di Stato e di governo europei hanno respinto la richiesta, ritenendo che lo Stato non sia ancora pronto. Si tratta piuttosto di un “congelamento”, visto che l’aspirazione europea di Tblisi è stata definita legittima.

La “rivolta” dei Paesi balcanici: cosa sta succedendo

Dal punto di vista dell’Europa, la tentazione di “sottrarre” alla Russia altri Paesi del blocco orientale è forte, ma bisogna tenere le dispute territoriali che lacerano i Paesi candidati: in Georgia l’Ossezia del Sud è de facto controllata dalla Russia al pari dell’Abkazia, mentre in Moldavia la Transinistria è rivendicata da Chisinau ma è di fatto protettorato russo (la “profezia nera” sui confini ucraini: cosa ha detto Medvedev).

A complicare i piani contribuiscono però anche le pretese di altre nazioni, il cui processo verso l’adesione all’Ue è bloccato da anni: Macedonia del Nord (candidata dal 2005), Albania (candidata dal 2014), Serbia (candidata dal 2012), Kosovo (accordo di stabilizzazione e associazione firmato nel 2016), Bosnia-Erzegovina (che ha fatto domanda nel 2016) e Montenegro (candidato dal 2010).

Quella dei Balcani occidentali è una questione spinosa, instabile e incredibilmente complessa praticamente da sempre. Poco prima del voto finale del Consiglio, infatti, fonti europee avevano riferito di una discussione più lunga del previsto tra i leader proprio sul dossier balcanico. Già a ottobre 2021, in Slovenia, i vertici europei avevano rimandato l’ennesimo occasione di dialogo tra Bruxelles e la regione. Come se non bastasse, di traverso sembra mettersi anche la Bulgaria.

Il ruolo della Bulgaria nello scacchiere balcanico

L’Albania e la Macedonia del Nord, dopo anni di riforme, non riescono a ottenere l’apertura dei negoziati per l’adesione a causa del veto opposto proprio della Bulgaria, che sbarra la strada a Skopje per questioni identitarie. Il premier filo-occidentale Kiril Petkov è arrivato a Bruxelles ufficialmente sfiduciato dal Parlamento dopo soli sei mesi, con una crisi politica in massima esplosione, in parte proprio per aver tentato di sbrogliare la matassa. La Francia ha tentato una mediazione, con un piano che prevede però anche delle modifiche costituzionali per la Macedonia del Nord. “La proposta francese in questa forma è inaccettabile per noi”, ha tuttavia tuonato il premier macedone Dimitar Kovacevski. A complicare le cose, i sondaggi in Bulgaria: se si andrà a nuove elezioni, i partiti populisti e filo-russi rischiano di prendere molti voti.

La situazione è tesa da un tempo indicibile: la Macedonia del Nord è candidata da quasi 18 anni e ha firmato l’accordo di associazione addirittura 21 anni fa. Per questioni culturali e identitarie, i bulgari considerano i macedoni come loro “fratelli intrappolati all’interno di un territorio nazionale che non è il loro”. Addirittura Sofia e Skopje hanno dato vita a una partnership accademica per valutare congiuntamente eventi storici comuni e confrontarsi sulle questioni identitarie più controverse.

Esattamente come fanno i russi con la questione ucraina, Sofia strumentalizza però la questione etnica per salvare le proprie fortune politiche. E a questo scopo non manca di sollevare le istanze scioviniste utili a distrarre l’attenzione di una fetta dell’opinione pubblica. Perché, dall’altro lato, la Bulgaria conserva legami molto stretti con la Russia, con la quale condivide alcuni interessi.

Rischi di stabilità per l’Ue

I due Paesi condividono (e coltivano) molti aspetti comuni, dalla chiesa ortodossa al passato sovietico. Non è un caso che, secondo una ricerca del 2020 del Pew Research Centre, la Bulgaria sia il Paese dell’Unione europea con la visione più favorevole della Russia (73%) e quella più bassa a favore della Nato (42%).

La destituzione del governo Petkov rischia di tradursi in un colpo gravissimo per la stabilità interna della penisola balcanica e dell’Ue in generale, alla luce anche di una guerra russo-ucraina che, quando cesserà, porterà sconvolgimenti e interrogativi ancora maggiori (Draghi parla già del dopo-guerra: così ricostruiremo l’Ucraina “europea”).