La primavera è arrivata e, con essa, la stagione degli attacchi. Chi conosce la guerra lo sa bene, perché è così da sempre: passati l’inverno, il gelo e il fango, gli eserciti tornano a muoversi con più facilità e velocità sul terreno, assieme ai rifornimenti dalle retrovie. Sembra un discorso anacronistico, ma la guerra in Ucraina è una guerra per molti aspetti anacronistica: di trincea, col sacrificio di migliaia di soldati, feroce per la conquista di pochi chilometri di territorio (ne abbiamo parlato anche qui).
La Russia teme l’impatto della controffensiva ucraina, che ha già inaugurato la sua prima fase. E lo ha fatto conducendo operazioni “leggere” nei punti più caldi del fronte conteso dai russi, per testare la reazione nemica e vedere dove far cadere il martello con maggiore forza.
Intanto l’esercito è in crisi nera: ecco la minaccia che fa tremare Putin.
La controffensiva ucraina: come, dove e quando
Il primo segnale dell’inizio della controffensiva ucraina è dato dai movimenti dei reparti, con le unità scelte formate nei campi d’addestramento europei (soprattutto nella vicina Polonia) trasferite a ridosso delle zone più contese. Un’operazione organizzativa talmente impegnativa da indurre il comandante in capo ucraino, Valery Zaluzhny, a disertare il vertice del comitato militare Nato.
Per ora Kiev non ha dato luogo a nessuna iniziativa eclatante, se non il parziale ma significativo respingimento dei russi a Bakhmut, dove gli ucraini sostengono di aver liberato almeno due chilometri di territorio e di aver inflitto “pesanti perdite” agli occupanti. La tattica del Paese invaso sembra basarsi ora su due principi:
- scardinare lo stallo nelle zone più contese sul fronte sud-orientale, piombando addosso ai russi con altre truppe e tante nuove munizioni;
- colpire sui fianchi gli avversari, che dovrebbero coprire le truppe dell’esercito russo: le forze armate ucraine stanno pianificando in un futuro molto prossimo (fonti di intelligence parlano di un paio di settimane) di passare all’offensiva nella regione di Artemovsk con una manovra a tenaglia.
Le difficoltà russe sul campo
In alcuni punti, l’intelligence ha rivelato una pesante mancanza di fanteria russa: una situazione già osservata in Cecenia nel 1995, quando ai potenti mezzi corazzati non si affiancò una altrettanto forte presenza di truppe appiedate. Il fallimento dell’operazione russa, che si voleva “lampo” oltre un anno fa ormai, sta proprio nell’approccio tattico. L’esercito della Federazione era considerato l’unica forza “europea” in grado di condurre grosse operazioni terrestri in uno scenario di guerra convenzionale. E invece si è rivelato scollato, disorganizzato, diviso da comandanti spesso in rotta tra loro o col Cremlino.
La scelta di non utilizzare questa potenza di fuoco corazzata nei primi mesi di guerra, optando per un’intensa guerriglia urbana, ha avvantaggiato i difensori. Ormai non è più un mistero: secondo gli analisti più esperti, l’esercito russo era strutturato per una campagna veloce supportata da un massiccio impiego dell’artiglieria, e non per un’offensiva prolungata e su vasta scala come quella che ancora oggi insanguina Donbass e sud del Paese. Il contenutissimo impiego delle forze aree, necessarie in coordinamento alle operazioni di terra per il successo di una campagna militare, è stato determinato dalla grande capacità dello scudo ucraino, potenziato dai Paesi occidentali.
Coi mezzi corazzati decimati da mine e missili anticarro nemici, gli invasori hanno cercato di correre ai ripari inviando più uomini al fronte, a protezione dei loro tank. Da qui la mobilitazione parziale (di cui avevamo parlato qui) e il reclutamento di personale dalle truppe di marina, dalle milizie separatiste, dai mercenari del Gruppo Wagner e anche dalla Guardia Nazionale Russa. Inoltre lo Stato maggiore non aveva pianificato il supporto logistico per un piano B alternativo alla guerra lampo. In molte occasioni l’esercito non è stato infatti in grado di rifornire in maniera sufficientemente veloce le unità durante la loro avanzata, allungando di settimana in settimana la linea degli approvvigionamenti soprattutto nell’Ucraina settentrionale a causa della grande distanza dalle ferrovie, che imponeva l’utilizzo massiccio (e costoso) di camion.
La battaglia per Bakhmut
Abbiamo ribadito più volte come la battaglia di Bakhmut sia diventata ormai un simbolo del conflitto russo-ucraino: una città per nulla strategica o tattica dal punto di vista militare, ma che i russi vogliono prendere a tutti i costi per sbandierare un successo in patria, dopo il fallimento dei loro obiettivi iniziali.
In un video condiviso su Telegram Andriy Biletsky, capo della terza brigata d’assalto ucraina, ha affermato che “le unità della 72esima brigata della Federazione Russa sono state sconfitte”. Al reparto russo che “scappava” aveva fatto riferimento anche lo stesso capo del Gruppo Wagner, Evgeny Prigozhin. Viste le crescenti frizioni con il Cremlino, “lo chef di Putin” non ha perso occasione per evidenziare la “vergognosa sconfitta” patita dalle truppe regolari: “La sesta e l’ottava compagnia di divisione sono state completamente distrutte, insieme a un numero significativo di veicoli corazzati da combattimento”.
Dove si scatenerà la battaglia?
I report di guerra più recenti riferiscono di azioni anfibie sull’altra sponda del Dnepr, la grande cerniera naturale che divide gli eserciti dal Donbass al Mar Nero. Tutt’intorno è l’inferno: mine antiuomo posizionate sulle sponde, cecchini piazzati sugli edifici e nella boscaglia, droni e radar che sorvegliano il corso del fiume. Ora piccole squadre di incursori hanno stabilito piccole teste di ponte in previsione di un passaggio del fiume in forze maggiori. A tal proposito sembra decisiva l’isola Potemkin, non lontano da Kherson, che potrebbe fungere da trampolino per scardinare la presenza russa nella regione. Tuttavia Mosca ha risposto con gran squillo d’artiglieria, dimostrandosi conscia del pericolo e delle intenzioni avversarie.
Una battaglia decisiva, dopo un anno di bombardamenti e scontri feroci, si combatterà ancora una volta a Melitopol, nel sud del Paese invaso. La città è il “secondo bottone” che chiude il passaggio al Mar d’Azov, fungendo da roccaforte privilegiata ad angolo retto tra Zaporizhzhia e Kherson. Con una grande valenza tattica: Melitopol è il punto d’arrivo delle strade e delle ferrovie che riforniscono le forze russe nella zona occupata più a ovest. Se Kiev dovesse riuscire a ricacciare i russi dalla città, spezzerebbero la cerniera russa che chiude l’accesso al mare aprendo una breccia verso la Crimea.
Probabile dunque che gli ucraini preparino operazioni partendo da Dnipro o Zaporizhzhia, come dimostrano i continui e massicci fuochi d’artiglieria nella zona. Sul posto sono giunte le brigate 116 e 118, addestrate nei campi della Nato per completare il Decimo Corpo d’Armata ucraino che conterà circa 40mila soldati freschi. Si tratta di battaglioni di militari esperti e che avranno a disposizione i mezzi bellici più avanzati, tra cui i carri armati Leopard e Challenger.
La Russia è però pronta allo scontro: dalle immagini satellitari risulta la costruzione di una barriera profonda 25 chilometri che trincera il triangolo tattico Kopani-Robotyne-Tokmak. Non solo: i villaggi nei dintorni sono diventati in fortezze, con intorno vaste trincee scavate a zig-zag e bunker con missili anticarro, oltre a batterie di cannoni e mortai. Gli scacchi sono tutti sulla pedana, vedremo chi farà la “nuova” prima mossa.