La soluzione per fermare la guerra c’è: ecco quale

Alla luce dei continui fallimenti nei trattati di pace, l'unica ipotesi per trovare una soluzione pare essere quella di un nuovo ruolo per il governo di Kiev

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

In molti sapevano sin dall’inizio della crisi scoppiata negli scorsi mesi tra Mosca e Kiev che l’unica soluzione sarebbe stata la neutralità dell’Ucraina. Il Paese è troppo storicamente legato alla Russia per diventarne un potenziale nemico, come sarebbe potuto accadere se fosse divenuto membro della Nato. E il suo governo è diventato troppo orgogliosamente nazionalista per tornare un satellite del Cremlino, come invece vorrebbero apparati russi e Vladimir Putin.

In un libro intitolato “Storia geopolitica della crisi ucraina“, pubblicato in questi giorni da Carocci Editore, Giorgio Cella, studioso dell’Europa centrale e docente dell’Università Cattolica di Milano, ricorda come le storie dei due Paesi siano intimamente intrecciate e come la sorte dell’uno dipenda quasi sempre dalle vittorie o dalle sconfitte dell’altro.

Guerra in Ucraina: quel legame mai sciolto tra Mosca e Kiev

Nel corso dei secoli Kiev smise di essere la maggiore città nel mondo slavo quando il posto le venne strappato da Mosca. Quanto più i centri politici e culturali della Russia acquistavano importanza internazionale, tanto più diminuiva quella delle città ucraine. L’invasione dei Mongoli fu disastrosa per i russi e per gli ucraini, ma con danni maggiori per il popolo che oggi è guidato da Volodymyr Zelensky. La crescita dei polacchi e dei lituani, sui loro confini orientali, danneggiava gli ucraini più di quanto danneggiasse i russi.

Ma le vittorie di Mosca a danno degli ucraini ebbero anche l’effetto di suscitare in questi un risentimento nazionale e un patriottismo che li ha resi più orgogliosi e coraggiosi. Non c’è pagina nella storia della nazione ucraina che non sia scritta con le penne dei due Paesi. I due Stati erano destinati a condividere fortune e sventure. Ma ciascuna delle due maggiori potenze mondiali (Stati Uniti e Unione Sovietica) voleva fare dell’Ucraina un proprio satellite.

Le amministrazioni succedutesi a Washington l’avrebbero col tempo associata alla Nato, mentre i sovrani della Russia ne avrebbero fatto un membro del Patto di Varsavia. Mosca riteneva (e ritiene tutt’ora) di avere qualche ragione storica per fare dell’Ucraina una sorella minore nell’ambito di una grande Federazione. La sua spartizione sarebbe stata estremamente difficile (gli ucraini che vivono in tutto il Paese e parlano la lingua russa – con diverse varianti dialettali – nelle loro case sono tra il 43% e 45% della popolazione) e avrebbe provocato probabilmente una guerra mondiale che ancora oggi si fatica ad escludere.

La neutralità come via di uscita dal conflitto

Ma vi era fortunatamente una soluzione: fare dell’Ucraina un Paese neutrale, una sorta di seconda Svizzera nel cuore dell’Europa centro-orientale. A dispetto delle grandi potenze, la saggezza nelle parole pur disperate del presidente ucraino sull’impossibilità di un ingresso nella Nato sembrano avere prevalso anche nelle cancellerie occidentali. L’Ucraina, imitando la Svizzera, sembra avere finalmente accettato di salvare la propria integrità e indipendenza diventando neutrale.

Ma il merito non è né della Russia né degli Stati Uniti. Gli storici ci racconteranno le trattative di questi mesi e constateranno forse che il merito è dell’Unione Europea, forse del Vaticano, ma certamente l’unico attore in grado di fermare questa strage di civili sembra essere il buon senso.