Putin annette i territori ucraini dopo i referendum: cosa succede ora

Il capo del Cremlino manda un messaggio chiaro a Zelensky e all'Occidente: il popolo si è espresso e la Russia difenderà con tutti i mezzi questa scelta

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Che Vladimir Putin avesse impresso una svolta alla guerra in Ucraina era chiaro da settimane ormai. Dall’inasprimento di tensioni e dichiarazioni all’annuncio della mobilitazione parziale (qui parliamo di chi sono i “riservisti” russi e quanto guadagnano), il presidente russo vuole stringere la tenaglia intorno al Paese invaso e mandare un messaggio chiaro alla coalizione occidentale a guida Usa.

Oltre che sul piano militare e su quello energetico, il Cremlino porta avanti il conflitto anche sul fronte della propaganda. In quest’ottica (anche di legittimazione sociale) rientrano i referendum per l’annessione proposti nelle quattro regioni ucraine occupate dalla Russia: Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson (ne avevamo parlato qui). Annessione che Putin ha ufficializzato con tutti i crismi in un discorso alla nazione.

Putin annuncia l’annessione

“Ci sono quattro nuove regioni in Russia”. È questo il nocciolo del messaggio che Putin ha diramato al mondo dal suo scranno presidenziale. Un messaggio che punta tutto sulla solennità della volontà popolare che, secondo il presidente russo è venuta fuori dalle urne ed è “definitiva”. E poco importa se praticamente tutto il resto del mondo bolla i referendum come “illegali” o, peggio, “una farsa”.

Riguardo alle aree di Kherson e Zaporizhzhia, i loro confini, ha dichiarato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, devono essere chiariti, mentre Putin ha precisato che per Donetsk e Luhansk valgono quelli del 2014, anno dell’inizio della guerra nel Donbass. È attesa per l’intervento da Bruxelles alle 18 del segretario della Nato Jens Stoltenberg.

Cosa ha detto Putin

“Il popolo ha fatto la sua scelta, una scelta netta. Non c’è niente di più forte della volontà di milioni di persone“, ha dichiarato il capo del Cremlino, aprendo la cerimonia di firma dei trattati. Poi ha chiesto un minuto di silenzio per quelli che ha definito gli “eroi” che combattono in Ucraina e per le “vittime delle azioni terroristiche di Kiev”. E rincara la dose, affermando che gli abitanti del Donbass “sono vittime di attacchi da parte del regime ucraino”.

Gli imperi (termine geopolitico e non valoriale, ndr) hanno ottima memoria e la Russia non fa certo eccezione. Per questo Putin ricorda benissimo e dunque sottolinea a proprio vantaggio come anche i giovani nati “dopo la tragedia della caduta dell’Unione Sovietica” abbiano votato a favore dell’annessione. Perché “l’amore per la Russia è un sentimento indistruttibile”. E anche se “l’URSS è passata e non tornerà, i russi che vivono al di fuori dei confini del proprio Paese” possono tornare alla loro “patria storica”.

La reazione dell’Ucraina di Zelensky

Più che una sfida all’Occidente, un vero e proprio strappo con i “Paesi ostili”. Subito il discorso di Putin, la prima e pronta risposta del presidente ucraino Volodymyr Zelensky è stato un contro-annuncio: l’Ucraina ha presentato richiesta formale per entrare nella NATO. Un percorso già inaugurato mesi fa e che, ora più che mai, viene agitato come “controffensiva” sul piano della propaganda. Nella speranza che non lo diventi anche sul piano militare.

Il messaggio di Zelensky è stato altrettanto chiaro: “L’intero territorio del nostro Paese sarà liberato dal nemico. Il nemico non solo dell’Ucraina, ma della vita stessa, dell’umanità, della legge e della verità”, ha dichiarato Zelensky in un video. Mosca “cerca di rubare qualcosa che non le appartiene, vuole riscrivere la storia e ridisegnare i confini con omicidi, abusi, ricatti e bugie. L’Ucraina non lo permetterà. Se non la fermiamo, la Russia non si fermerà ai nostri confini. Altri sarebbero sotto attacco: Repubbliche baltiche, Polonia, Moldova, Georgia, Kazakistan“.

Cosa succede ora?

Nel discorso di Putin si possono individuare alcune considerazioni programmatiche su ciò che la Russia è intenzionata a fare. “Difenderemo la nostra terra con tutti i mezzi a nostra disposizione”, ha detto intimando a Kiev di “cessare il fuoco cominciato nel 2014”. Quel “tutti i mezzi” fa correre i soliti brividi sulla schiena del mondo. Le armi nucleari, seppur tattiche, fanno davvero paura (ecco cosa succederebbe se venissero usate). Soprattutto a un Occidente bollato da Putin come fautore di una “guerra ibrida contro la Russia”, al fine di farla diventare “una sua colonia”.

Quello dell’Occidente, ha proseguito Putin, “è un delirio, un inganno vero e proprio, con doppi e tripli standard. Con tutte queste regole false la Russia non ha intenzione di vivere”. Il leader ha definito “sporche bugie” le “promesse statunitensi di non espandere la Nato a Est” e ha parlato di “russofobia di stampo occidentale”. Decisamente non un buon segno per il futuro della guerra.

La Russia si è infine detta pronta a tornare “al tavolo dei negoziati“, ma la scelta dell’annessione della popolazione delle quattro regioni ucraine “non è più in discussione”. Nulla di troppo diverso dagli scorsi mesi, eppure la svolta c’è stata.

La situazione sul campo di battaglia

Il messaggio di Putin e la mossa dell’annessione tradiscono gli strascichi di una difficoltà che la Russia ha incontrato sul campo di battaglia quasi subito dopo l’invasione. Il costante aiuto occidentale, americano e britannico sopra tutti anche sul piano dell’intelligence e dell’addestramento, ha influito in maniera decisiva sulla capacità russa di (non) sfondare i cerchi concentrici di difesa predisposti da Kiev dal primo scudo al confine col Donbass fino a Kharkiv e Poltava.

La pace appare sempre più lontana anche sul terreno di guerra, coi combattimenti incessanti e centinaia di vittime ogni giorno. I corpi dei civili restano per strada delle città bombardate, i feriti non si contano. Uno degli ultimi attacchi russi ha preso di mira un convoglio umanitario che stava lasciando Zaporizhzhia, provocando diverse vittime. “Le persone erano in fila per lasciare il territorio temporaneamente occupato, per andare a prendere i parenti, per fornire aiuti”, ha dichiarato il capo dell’amministrazione militare regionale Oleksandr Starukh.

Gli scontri complicano anche le cosiddette “questioni aperte”, come lo scambio dei prigionieri e i “corridoi del grano”. Senza ribaltamenti sul piano militare o diplomatico, tutti i segnali avvalorano l’ipotesi di una guerra di logoramento di lunga durata. Un fattore aggravante è rappresentato poi dall’insoddisfazione russa sul fronte interno, che potrebbe spingere Putin a mosse “disperate”. Secondo l’Institute Study Of War, importante think-thank statunitense, l’Assemblea degli ufficiali panrussi, un’associazione di veterani che cerca di incidere sulla strategia militare, ha riconosciuto i “fallimenti della operazione militare speciale” e ha chiesto un’ulteriore mobilitazione.