Il 9 maggio scorso, Festa della Vittoria in memoria del trionfo dell’Armata Rossa contro l’invasione Nazista, l’atto più atteso a Mosca era il discorso che Vladimir Putin avrebbe pronunciato sulla Piazza Rossa. Forse però il gesto più gravido di conseguenze potrebbe essere stato quello che il dittatore stesso, proprio in quel giorno tanto atteso da tutti i suoi concittadini, ha compiuto con più discrezione del solito, senza che nulla in merito uscisse sui media statali al suo servizio.
Si tratta della firma silenziosamente messa su un decreto che cerca di cambiare la traiettoria della guerra economica con l’Occidente, legando a doppio filo la Russia alla Cina e innestando nella verticale del potere un 39enne a cui Putin stesso ormai si affida. Il suo nome è Maxim Oreshkin e ad oggi sono poche le persone che lo conoscono al di fuori dei confini nazionali.
Oreshkin, economista di successo già divenuto ministro
Non è nella lista dei quasi mille personaggi russi e bielorussi soggetti alle sanzioni dell’Unione europea e degli Stati Uniti. Al momento solo Londra l’ha già preso di mira, in quanto presidente della principale emittente pubblica russa Pervyj Kanal. Ma quest’uomo descritto dai suoi collaboratori come affabile, preciso, competente, misurato, duro solo nella sostanza, è soprattutto qualcos’altro.
Stiamo parlando infatti di un rinomato economista formatosi nelle scuole di élite di Mosca, transitato da varie banche d’investimento (da Rosbank, alla controllata russa della francese Crédit Agricole), già ministro dello Sviluppo a 34 anni e consigliere del presidente dal 2020, Oreshkin diventerà l’architetto della riconversione russa.
La sua missione: unire Russia e Cina
Gli si chiede di riorientare il sistema perché volti le spalle all’Europa, impari a commerciare senza valute occidentali e di fatto spinga il Paese nelle braccia della Cina. Dal 9 maggio, in base al decreto di Putin, Oreshkin è “capo del gruppo di lavoro interdipartimentale” creato per reagire alle sanzioni e riscrivere le regole degli scambi con i Paesi “ostili” (specie dell’Unione europea) e “amici”. Lui e il suo gruppo dovranno creare le strutture per rendere tutto questo possibile.
Il documento firmato dal presidente russo parla dello “sviluppo di un piano per formare l’infrastruttura di pagamenti internazionali con partner commerciali di Paesi amici” e di “determinare la procedura per i regolamenti di partite finanziarie in rubli o monete nazionali” di questi ultimi. Parla anche di meccanismi di “compensazione da sviluppare” sempre con i Paesi “amici”, quelli che alle Nazioni Unite non hanno condannato l’aggressione all’Ucraina: Cina e India su tutte.
Il piano del Cremlino per escludere l’Occidente
Dietro una formula tanto vaga c’è un progetto preciso — secondo alcuni osservatori — già messo a punto da Maxim Oreshkin: creare in Russia e in Cina piattaforme parallele di “clearing and settlement” (compensazioni e regolamenti, o pagamenti) che permettano ai due Paesi di commerciare in rubli e in yuan.
Né la moneta russa né quella cinese godono della libertà di circolazione dei capitali: non è facile portarle fuori dai loro Paesi. Una piattaforma di Stato in Cina permetterebbe dunque di compensare le partite delle imprese russe in yuan cinesi ogni trimestre e cambiare in rubli solo la differenza. E parimenti per la Cina in Russia, per il commercio in rubli, con conseguenze soprattutto a vantaggio di Pechino.