Quello che stiamo attraversando è un fine settimana di fuoco a livello di politiche comunitarie nel nostro continente. La Commissione europea ha presentato il nuovo pacchetto di sanzioni rivolte contro la Russia, che ora devono essere approvate con la spada di Damocle della maggioranza assoluta, il meccanismo decisionale da sempre in vigore nel Consiglio Ue.
Ma, a poche ore dall’atteso annuncio in programma per la serata di venerdì (6 maggio 2022), i ventisette Paesi si sono mostrati estremamente divisi al proprio interno, come spesso succede anche per questioni meno cruciali e stringenti. Durante le giornate di ieri e di oggi sono proseguite le trattative nelle sedi istituzionali di Bruxelles, ma restano ancora molti gli ostacoli verso l’approvazione di una risoluzione che accontenti tutti gli Stati membri, portatori di istanze a volte anche in forte contrapposizione tra loro.
Nuove sanzioni contro il Cremlino: la scelta dell’embargo
Nel sesto pacchetto di sanzioni per colpire Mosca, il ‘phasing out’ (l’uscita) dalle importazioni del greggio dalla Russia sarà l’arma principale. Ma a dividere gli Stati membri è stata la proposta di “un divieto totale d’importazione di tutto il petrolio russo, via mare e via oleodotto, greggio e raffinato”, come si legge nel documento europeo.
I nodi da sciogliere riguardano però i tempi di uscita dalla forte dipendenza russa che attanaglia molte realtà europee e la possibilità di concedere esenzioni parziali, perlomeno temporanee, per quei Paesi così vincolati da rischiare un duro contraccolpo per la loro stessa economia.
“Ci assicureremo di eliminare gradualmente il petrolio russo, in modo da permettere a noi e ai nostri partner di assicurare vie di approvvigionamento alternative e di ridurre al minimo l’impatto sui mercati globali”, ha spiegato la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. “Elimineremo il greggio russo entro sei mesi e i prodotti raffinati entro la fine dell’anno” ha aggiunto.
Basta petrolio russo, i timori dei Paesi più dipendenti da Mosca
A mettere le mani avanti sono state subito Slovacchia e Ungheria, appellandosi alla richiesta di una deroga speciale. L’embargo, hanno spiegato i rappresentati dei due governi, sarebbe troppo pesante da sopportare per un Paese senza sbocco sul mare e del tutto dipendente dalle consegne dell’oleodotto Druzhba.
I due Paesi sono largamente dipendenti dal greggio russo: ad oggi l’Ungheria riceve da Mosca il 58% del suo fabbisogno di petrolio e derivati, mentre la Slovacchia ne dipende quasi totalmente, con il 96% del suo approvvigionamento importato dalla Russia.
Per questo nella bozza dell’accordo in discussione in queste ore c’è la proposta della Commissione europea di esentare proprio Ungheria e Slovacchia temporaneamente dall’applicare il blocco delle importazioni di petrolio dalla Russia: non entro la fine del 2022 come previsto all’inizio, ma fino alla fine del 2023.
La scelta di Ungheria e Slovacchia, troppo legate a Putin
L’obiettivo di Ungheria e Slovacchia nel minacciare il veto potrebbe essere quello di ottenere delle “compensazioni” ulteriori oltre alla deroga fino al 2023, in modo tale da consentire l’estinzione naturale dei contratti già esistenti con la Russia. A queste si aggiungerebbe però l’obbligo tassativo di non stipularne di nuovi.
Ora la variabile rischia però di creare un effetto domino su altri Paesi come la Bulgaria e la Repubblica Ceca, che sfiorano quasi il 100% di dipendenza dal petrolio russo e che potrebbero chiedere trattamenti ad hoc. La sensazione è che per l’unanimità sulla proposta possano servire ancora diverse giornate di trattative.