Il lockdown fa paura agli italiani, ed è iniziata la corsa per i generi alimentari. Davanti ai supermercati sono riapparse le lunghe code che abbiamo visto a primavera, con la chiusura nazionale, e i servizi di vendita di frutta, verdura, latticini e carne dal produttore al consumatore hanno subito un’impennata del 20% rispetto all’ultima settimana di ottobre. Il timore di non poter reperire cibo ha spinto i cittadini a riempire la dispensa, come conferma il monitoraggio della Coldiretti, che ha interpellato gli agricoltori e gli allevatori di Campagna Amica.
Con la possibilità che possano essere prese misure più rigide a fronte di un ulteriore aumento dei contagi da coronavirus, e viste le decisioni già prese con l’ultimo Dpcm, è aumentata la richiesta di prodotti alla base della nostra dieta. Frutta, verdura, pasta e riso, ma anche uova, farina e zucchero hanno subito un’accelerazione nelle vendite. Stesso discorso per salumi, formaggi e vino da tenere come scorta.
Tornano le code al supermarket: sono inutili perché non manca il cibo
Sono 740mila le aziende agricole e le stalle in Italia, e 70mila le imprese della filiera alimentare che si occupano della lavorazione delle materie prime. Tra negozi, supermercati, discount e mercati contadini, i punti di vendita al pubblico sono oltre 230mila. Ben 3 milioni di persone lavorano nel settore, dagli allevatori agli operai, passando per trasportatori e commessi. Per questo è molto improbabile che possano esserci nel nostro Paese penuria di cibo e scaffali vuoti quando andiamo a fare la spesa.
Sarebbe meglio evitare l’assalto ai supermarket, creando lunghe code. Il rischio è quello di creare assembramenti, favorendo la diffusione del Covid, e causare disagi al sistema di rifornimenti e ai lavoratori coinvolti.
Se tutti acquistassimo prodotti non necessari per paura di rimanere senza cibo, i negozi finirebbero velocemente le scorte, rendendo più difficile a molte categorie l’accesso a beni di prima necessità. Basta pensare agli anziani soli e chi ha problemi negli spostamenti. Inoltre, facendo una spesa più grande del solito, c’è la possibilità di non riuscire a gestire agilmente i prodotti comprati e non utilizzarli entro la data di scadenza, dovendoli buttare.
Dpcm: come hanno influito le restrizioni sul settore alimentare
Coldiretti, oltre a invitare gli italiani a non fare file inutili, ha chiesto alla grande distribuzione commerciali e ai consumatori stessi di “privilegiare sugli scaffali i prodotti Made in Italy duramente colpiti dalla chiusura anticipata alle 18.00 della ristorazione, che ha un effetto negativo a cascata sull’agroalimentare nazionale”.
Si stimano infatti perdite di fatturato di crica un miliardo di euro per la mancata vendita di cibo e bevande nel mese di ottobre, quando sono entrate in vigore le nuove misure di contenimento stabilite attraverso i Dpcm. In particolare sono colpiti i settori ittico e vitivinicolo. La ristorazione rappresenta infatti il canale di commercializzazione più importante, per quanto riguarda il fatturato, di pesce e vino.