Fino a poche settimane fa l’intesa sulla riforma della giustizia sembrava essere stata trovata, anche se la ministra Marta Cartabia aveva presentato un testo che aveva lasciato interdetti alcuni Cinque Stelle.
Perché Giuseppe Conte e i Cinque Stelle sono contro la riforma della giustizia
Adesso dai mal di pancia, celati dietro le quinte, si è però passati ai fatti. E i fatti hanno preso la forma di 917 emendamenti. Durante la diretta su Facebook, una specie di investitura per Giuseppe Conte, sotto forma di discorso inaugurale, che in quell’occasione ha vestito i panni di leader e guida dei Cinque Stelle, la riforma firmata Cartabia è stata presa di mira. Il giorno dopo c’è stato l’incontro tra il premier e l’ex premier, che sembrava aver alleggerito contrapposizione (qui tutto quello che si sono detti, hanno parlato anche del cashback). Ma ieri 20 luglio Giuseppe Conte è tornato sul tema dei processi con parole più forti: “Non possiamo permettere che migliaia di processi vadano in fumo”. Queste le parole dell’avvocato pugliese.
Nel frattempo, contro la norma, si erano espressi il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri e il capo della procura nazionale Antimafia Federico Cafiero de Raho. “Il 50% dei processi finirà sotto la scure della riforma”, ha sottolineato il primo. Cafiero invece ha parlato di “conseguenze sulla democrazia del Paese, se tanti processi diventeranno improcedibili minando la sicurezza dello Stato”.
Insomma si torna allo scontro. Il nodo è l’improcedibilità: che in Appello scatta dopo 2 anni e in Cassazione dopo 1 anno. Troppo poco per i Cinque Stelle, che infatti hanno risposto con una valanga di emendamenti.
Per Mario Draghi la data da tenere in considerazione sarebbe il 23 luglio, il limite entro il quale serve trovare un accordo. Il passaggio alla Camera, invece, il presidente del Consiglio lo vorrebbe comunque entro l’estate. Un accordo spianerebbe la strada alla riforma: gli emendamenti infatti verrebbero ritirati.
In cosa consiste la riforma Cartabia
La riforma Cartabia è una correzione in senso garantista delle “Spazzacorrotti” del ministro pentastellato Alfonso Bonafede. Con la precedente riforma, dopo la sentenza di primo grado, la prescrizione era annullata. Con la riforma Cartabia si mantiene intatto il principio dell’annullamento dei termini di prescrizione dopo la sentenza di primo grado, ma lo si corregge stabilendo l’improcedibilità in Appello dopo 2 anni e in Cassazione dopo un anno. Viene, insomma, tramite l’improcedibilità, “prescritto” il processo al posto del reato.