La Nato bacchetta Giorgia Meloni: ecco perché

Non ancora spesi i 2% di Pil per la difesa come da accordi con la Nato

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Giorgio Pirani

Giornalista economico-culturale

Giornalista professionista esperto di tematiche di attualità, cultura ed economia. Collabora con diverse testate giornalistiche a livello nazionale.

L’Italia non ha adempiuto agli impegni assunti nei confronti della NATO, non riuscendo ad aumentare la spesa per la difesa fino al 2% del PIL. Questo dato porterà presto l’Italia, insieme ad altri paesi, a dover rendere conto durante il prossimo vertice NATO che si terrà a luglio a Vilnius, in Lituania. Nel frattempo, l’opposizione ha ribadito la propria posizione. Elly Schlein, leader del Partito Democratico, ha dichiarato che il partito non è disposto ad utilizzare le risorse e i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per la produzione di munizioni e armamenti. Non spetta alla NATO decidere da quali “contenitori” l’Italia debba trarre le sue risorse per mantenere l’impegno, ma l’obiettivo deve essere comunque raggiunto.

Questa presa di posizione ha riportato l’attenzione su un tema delicato: la spesa dell’Italia per la difesa. Ecco perché l’Italia non ha mantenuto la promessa e quali sono i pro e i contro di tale decisione.

L’Italia non sta mantenendo gli impegni presi con la Nato, ecco perché

Dal 2014, l’Italia si è impegnata, insieme agli altri paesi membri della NATO, a destinare il 2% del suo PIL alla spesa per la difesa. Questo impegno è stato preso a seguito dell’annessione della Crimea da parte della Russia e dei timori di un possibile progetto espansionistico di Vladimir Putin. Nonostante i governi italiani abbiano rinnovato anno dopo anno l’intento di aumentare la spesa per la difesa al 2% del PIL, non è mai stato effettivamente realizzato. Tuttavia, con l’invasione dell’Ucraina nel 2022, l’aumento della spesa per gli armamenti è sembrato necessario.

Nel frattempo, la fascia del Nord-Est della NATO ha iniziato a ipotizzare che il 2% del PIL per la difesa non sia il limite massimo da raggiungere, ma piuttosto il punto di partenza. Tuttavia, non si è ancora raggiunta questa “meta” e non ci sono segnali sostanziali di un cambiamento significativo nell’ultimo biennio. Le ragioni possono essere molteplici.

Le ragioni sono legate a questioni economiche e all’opinione pubblica. Quest’ultima sembra essere meno propensa ad accettare “sacrifici di bilancio” a favore delle forze armate, poiché un aumento della spesa in un settore implica una riduzione in altri settori. Inoltre, va considerata anche la situazione economica internazionale, con l’inflazione che aumenta anche a causa della guerra in Ucraina.

Quali paesi non hanno rispettato gli accordi Nato

L’Italia non è l’unico paese che parteciperà al vertice NATO senza aver mantenuto gli impegni presi con l’Alleanza Atlantica. Lo scorso anno, su 30 Stati membri della NATO, solo 7 paesi hanno raggiunto o superato il 2% del PIL destinato alla difesa. Tra questi paesi rientrano la Polonia, con oltre il 4%, gli Stati Uniti, con oltre il 3%, e il Regno Unito, che ha superato nettamente il 2%.

Tra i 23 paesi che non hanno adempiuto agli impegni, troviamo la Germania, che nonostante avesse promesso un aumento di 100 miliardi di euro per la difesa, si mantiene ferma all’1,5% del PIL destinato alla difesa. L’Italia si posiziona addirittura al di sotto della Germania in proporzione al proprio PIL. Peggio di noi si collocano il Canada e la Spagna.

Spesa per la difesa al 2% del Pil: i pro e i contro

L’Italia, insieme ad altri 22 paesi, dovrà rendere conto agli Stati Uniti delle ragioni per cui la spesa pubblica per la difesa non ha raggiunto il 2% del PIL. Mentre le ragioni per cui l’Italia non ha mantenuto gli impegni presi con la NATO possono essere individuate nelle questioni economiche e nell’opinione pubblica, è importante valutare i pro e i contro dell’aumento della spesa per la difesa al 2% del PIL. Alcune forze politiche sono convinte della minaccia rappresentata dalla Russia, e quindi ritengono che aumentare gli armamenti non solo rafforzerebbe la sicurezza del Paese, ma fungerebbe anche da deterrente nei confronti del presidente russo Vladimir Putin. Inoltre, secondo alcuni studi riportati dall’Economist, l’industria degli armamenti moderna è prevalentemente hi-tech, quindi un investimento in questo settore potrebbe innescare un ciclo virtuoso con benefici sulla capacità di innovazione, come sostenuto dallo studio dell’economista italiano della University of California-Berkeley, Enrico Moretti.

Tuttavia, ci sono anche contro che la politica ed l’economia dovrebbero prendere in considerazione. Innanzitutto, aumentare la spesa per la difesa potrebbe comportare una riduzione degli investimenti in altri settori del Paese. Inoltre, secondo alcune forze politiche, sarebbe necessario sviluppare un chiaro “progetto di difesa comune” per l’Europa. Questa posizione è sostenuta anche dall’eurodeputato dem Pierfrancesco Majorino, che ha spiegato in passato che sarebbe opportuno rafforzare i “vincoli reciproci sul piano politico” anziché aumentare le risorse per gli armamenti. Si potrebbe optare per una difesa comune, razionalizzando le risorse e favorendo un'”unione politica dell’Europa”, anziché dover coordinare 27 eserciti nazionali.