Governo in allarme, fuga dai ministeri: cosa succede

In vista della messa a terra dei progetti del PNRR, la presidenza del Consiglio è nel caos per la carenza di tecnici e specialisti che aiutino i dicasteri

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Federico Casanova

Giornalista politico-economico

Giornalista professionista specializzato in tematiche politiche, economiche e di cronaca giudiziaria. Organizza eventi, presentazioni e rassegne di incontri in tutta Italia.

“Per l’arrivo dei fondi della terza rata del PNRR – che, tra le voci inserite come sovvenzioni e le quote prese a prestito, vale la bellezza di 19 miliardi di euro (ndr) – manca davvero poco. È tutto pronto, è questione di ore”. Sono queste le parole con cui Giancarlo Giorgetti (storico numero due della Lega e attuale ministro dell’Economia e delle Finanze) sta provando ormai da diversi giorni a rassicurare i partiti di opposizione e tutta l’opinione pubblica in merito ai soldi che l’Unione europea è in procinto di pagare all’Italia per il raggiungimento degli obiettivi indicati nel Piano nazionale di ripresa e resilienza.

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Come detto, si tratta del terzo versamento complessivo da parte dell’Ue dopo i due avvenuti nel corso della seconda parte del 2022 (entrambi del valore di 21 miliardi di euro) e dopo il prefinanziamento inoltrato già nei primi giorni di luglio del 2021 – pari a 24,9 miliardi di euro – predisposto sin dalla prima approvazione del PNRR a Bruxelles.

Il cammino per vedere completate tutte le 10 erogazioni previste è ancora molto lungo, con l’ultima rata inserita in calendario per il mese di giugno del 2026. Ma nel frattempo per il governo presieduto da Giorgia Meloni la vera sfida su questo fronte è diventata un’altra, altrettanto impegnativa: mettere a terra questa valanga di denari provenienti dall’Europa.

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La questione è talmente infuocata che lo stesso ministro Raffaele Fitto – titolare proprio del dossier che concerne il PNRR – ha dovuto presentarsi in ordine sia al Senato che alla Camera (nel pomeriggio di mercoledì 26 aprile scorso) per un’informativa urgente che illustrasse lo stato dei lavori. In Aula il fedelissimo della premier ha spiegato come l’esecutivo abbia accolto tutte le obiezioni sollevate dai vertici europei (celebri quelle sulle esclusioni dei progetti per i nuovi stadi di Firenze e di Venezia), ma ha tenuto anche a sottolineare come il governo “abbia ereditato situazioni difficili” da parte di chi lo ha preceduto.

Da una parte, si tratta dell’ennesimo tentativo di evidenziare il cambio di atteggiamento della Commissione europea nei loro confronti rispetto a quando Mario Draghi sedeva a Palazzo Chigi, visto che i cantieri esclusi in questa fase erano stati accettati senza alcuna remora quando era l’ex capo della BCE a parlare per l’Italia. Dall’altra parte però le parole di Fitto sono servite anche da monito per porre l’attenzione su un fenomeno particolarmente annoso che si sta verificando nelle stanze più alte del potere politico.

Accade infatti che l’ultimo Consiglio dei ministri abbia deciso (in maniera ancora informale) di formulare un decreto per stabilizzare la presenza di tecnici ed esperti che lavorano nei dicasteri, arrestando così la fuga di massa che si sta verificando da qualche mese a questa parte. Pare infatti che dall’inizio dell’anno ben 150 profili selezionati (su un totale di circa 500) abbiano comunicato di voler abbandonato le rispettive sedi di lavoro ministeriali per migrare verso contratti più stabili a tempo indeterminato.