Emergenza idrica: in Italia sempre meno acqua e sempre più privata

Crisi idrica e dispersioni: c'è necessità di interventi immediati o gli scenari futuri saranno critici

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Alice Pomiato

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Alice Pomiato è una Content Creator che racconta com'è possibile avere uno stile di vita più sostenibile, etico e consapevole.

Nel 2011, con la volontà popolare di un Referendum, milioni di cittadini italiani hanno votato in maggioranza assoluta per la gestione pubblica dell’acqua. Oggi, il DDL Concorrenza del Governo Draghi, cancella la volontà degli elettori e pone le basi per la privatizzazione dei servizi pubblici, tra i quali l’acqua.

Qualche giorno fa, il Parlamento italiano ha discusso l’art. 8 del DDL Concorrenza e mercato, che spinge i comuni alla svendita sul mercato di tutti i servizi pubblici come la privatizzazione dell’acqua, della gestione delle reti e degli impianti.

Per la prima volta nella storia repubblicana, un disegno di legge per lo sviluppo della concorrenza prevede “l’apertura totale al mercato di tutti i servizi pubblici locali, senza alcuna distinzione. Interviene direttamente sul ruolo dei Comuni e sulla gestione dei servizi pubblici locali, ponendo la materia nell’ambito della competenza esclusiva statale”.

Per i comuni di tutta Italia, sarà più difficile mantenere il servizio idrico gestito dal pubblico. Infatti, mentre per affidare l’acqua ai fondi di investimento alle multinazionali estere, un sindaco non dovrà presentare alcuna motivazione, al contrario, per mantenerlo nel proprio territorio, sarà necessario che produca una motivazione rinforzata e stabilire ex-ante la convenienza della gestione pubblica su quella privata.

Quale amministratore si prenderà questa responsabilità?

Perché si vuole privatizzare l’acqua?

La legittimazione della privatizzazione dell’acqua, in contrasto con quanto deciso e mai davvero attuato dal Referendum del 2011, poggerebbe ancora una volta su un’emergenza idrica. La si vuole attuare in contrasto allo spreco e della dispersione dell’acqua a cui assistiamo in Italia, e che il pubblico non è mai riuscito a risolvere. Infatti, quasi la metà dell’acqua che scorre negli acquedotti delle regioni italiane, viene dispersa. La situazione di emergenza climatica, la siccità e il fenomeno della desertificazione (che già interessa il 20% del territorio italiano) saranno utilizzati per giustificare misure di razionamento dell’acqua, sospensioni programmate dell’erogazione, divieti e limitazioni all’utilizzo dell’acqua (per irrigare i prati e gli orti privati, lavare la macchina, e altro).

Secondo la Relazione annuale ARERA 2020, in media il 43,7% dell’acqua viene dispersa dalle tubature. In Sicilia si sale al 49%, in Sardegna al 59% e in Lazio e Molise addirittura oltre il 60%. L’Italia è il fanalino di coda dei Paesi UE, dove mediamente la dispersione dell’acqua è del 15%. Gli acquedotti italiani, soprattutto in molte zone del centro e del mezzogiorno, necessitano di importanti interventi. Il problema della dispersione idrica è cronico e grave, e ha bisogno di essere gestito con responsabilità.

Chi spinge per la privatizzazione dell’acqua, sostiene che l’unico modo per gestire prolungati periodi di emergenza idrica sia quello di affidare l’acqua al mercato privato. L’ Istituto Bruno Leoni, che promuove l’ideologia liberista in Italia, si è espresso così: “Acqua: se una risorsa è scarsa, le va dato un prezzo. L’acqua può essere allocata solo in due modi: secondo l’arbitrio del sovrano o secondo la logica del mercato. Quello che manca in Italia è un sistema dei prezzi che dia conto della scarsità crescente dell’acqua e spinga a utilizzarla negli usi con maggiore valore sociale. L’acqua è una risorsa scarsa. Può essere allocata solo in due modi: secondo l’arbitrio del sovrano o secondo la logica del mercato”.

Cosa comporterebbe la privatizzazione dell’acqua?

L’acqua è un diritto universale di tutti. I cambiamenti climatici, la desertificazione, l’inquinamento delle fonti, impatteranno sulla popolazione in modo discriminatorio e nonostante questo, nel dicembre 2020, l’acqua è stata quotata in borsa e oggi si ripropone ancora la sua privatizzazione.

La privatizzazione della gestione delle fonti e dell’acqua pubblica comporterebbe l’assoggettamento di un bene primario, vitale, alle logiche di mercato. Una società per azioni punta sul profitto, sul concetto di “minima spesa, massima resa”, che deve soddisfare gli interessi degli azionisti e dividere gli utili. Dove finirà questo profitto? In bolletta. Un aumento generalizzato del costo dell’acqua, principalmente utilizzata per le attività produttive, dall’agricoltura all’industria e solo per ultima per le attività civili, comporterebbe un ulteriore lievitazione dei prezzi.

Chi si oppone a tutto questo, afferma che il servizio idrico non può essere derogato ad una gestione di economia privata, perché non si può dare valore all’acqua come si fa con altre materie prime scambiate, perché l’acqua appartiene a tutti ed è un bene pubblico, strettamente legato a tutte le nostre vite e mezzi di sussistenza ed è una componente essenziale per la salute pubblica. La chiamiamo “oro blu” perché l’acqua, insieme all’aria, è il bene più prezioso, da cui dipende l’intera vita su questo pianeta.

Il diritto all’acqua è stato definito dalla risoluzione ONU del 28 luglio 2010 come “diritto umano universale e fondamentale” e gli stati dovrebbe garantire l’accesso all’acqua potabile a tutti gli individui, proteggendoli da interessi speculatori e azioni privative di questo diritto, ma non sempre accade. Negli anni a venire, l’acqua sarà certamente causa di nuovi conflitti a causa di misure di austerità, interventi sui sistemi idrici, aumento dei costi di accesso all’acqua.

Siamo in un’epoca di crisi profonde, con estrema tensione sociale e politica,  e ogni crisi può diventare una buona occasione per sottrarre qualcosa alla comunità, sotto forma di diritti o ricchezze. Nei mesi scorsi, la lotta contro il DDL Concorrenza ha coinvolto centinaia di realtà associative e di movimento, sindacali e politiche. Ha prodotto mobilitazioni sociali nei territori, ed è riuscita a far schierare consigli comunali e regionali di grandi, medie e piccole città. Una mobilitazione diffusa e incisiva, che si oppone a liberalizzazioni e privatizzazioni, mentre chiede la riappropriazione sociale dell’acqua, dei beni comuni e dei servizi pubblici come fondamenta del progetto di un’altra società.

La privatizzazione dei servizi idrici è davvero la via per risolvere i problemi della gestione dell’acqua? La sua abbondanza ed economicità sono state la precondizione minima di ogni sviluppo. Sarà necessario investire in modo da prevenire ogni eventuale penuria e quindi ogni spreco, ma garantendone sempre l’economicità e la sicurezza per i cittadini.