Al di là dell’elezione dei sindaci, ancora da definire coi prossimi ballottaggi, le elezioni comunali e il mancato quorum al referendum sulla giustizia di domenica hanno dato segnali politici ben chiari: né Matteo Renzi né Matteo Salvini sono riusciti a motivare l’elettorato sui quesiti referendari, sui quali si esano esposti a inizio campagna, mentre il voto politico, col sorpasso della Meloni sullo stesso Salvini e la dèbacle a 5 stelle, rischia di cambiare – e di parecchio – il panorama attuale.
Salvini, governatori in pressing
Intanto in casa Lega, dove il sorpasso subìto da Fratelli d’Italia anche al nord fa parecchio male. E Meloni, forte dei risultati e del flop della Lega, lancia subito l’avvertimento ai compagni di viaggio: “Il fatto che siamo la forza di traino – dice – è un’indicazione della chiarezza delle posizioni. Agitare l’uomo nero – ammonisce – non funziona più”. il sorpasso sulla Lega salviniana è realtà. Nel giorno del flop dei referendum sulla giustizia e della Caporetto del Carroccio, che precipita dappertutto, anche nelle roccaforti al Nord a cominciare da Verona, la presidente di Fratelli d’Italia è infatti l’unica a gioire, consapevole che il risultato di oggi le fa compiere un altro passo avanti decisivo verso la leadership del centrodestra, al punto che in tanti scommettono sulla prossima resa dei conti interna.
Che intanto partirà dentro la Lega, perché l’ala governista e del partito, rappresentata da Giorgetti e dai governatori Zaia e Fedriga, cinge d’assedio il leader al tramonto. Salvini glissa: “Il leader lo scelgono le elezioni politiche”. Ma sa che presto potrebbe elevarsi nella Lega la richiesta di un congresso che potrebbe defenestrarlo dalla guida del partito. Il progetto Lega Nazionale è finito, quello della fusione con Forza Italia è su un binario morto, le ambiguità con la Russia hanno fatto danni, e la parte della Lega ancora legata soprattutto all’imprenditoria del nord non vede l’ora di rimettere il partito sul suo percorso storico indipendentista, me comunque governista visto il momento.
“Difficile accada qualcosa subito – dice un autorevole esponente di quest’ area – ma se i sondaggi a settembre ci diranno che anche a livello nazionale scenderemo più in basso di quella quota, beh, qualcosa si dovrà fare”. Il credito di fiducia di Salvini nei confronti dei big è esaurito.
Il crollo M5S agita il Pd
Nemmeno il tempo di festeggiare per il voto di lista che decreta il Pd primo partito d’Italia, ecco che il crollo del M5S di Giuseppe Conte apre immediatamente il dibattito tra i dem, con membri di peso del partito che ora chiedono al segretario Enrico Letta di avviare un dialogo con Calenda e Renzi. Conte, dal canto suo, ammette la debacle, non prova nemmeno a giustificare un risultato che “non soddisfa”, tenta di rassicurare gli alleati dem sul futuro e annuncia una ‘fase 2’ del Movimento per “ripartire con umiltà”. Ma i ‘malpancisti’ 5 Stelle, intanto, affilano le armi.
Gli avversari interni di Conte ‘aspettavano’ l’esito delle amministrative per rimarcare ancora una volta il loro dissenso. Ma nel giorno dello spoglio anche i ‘nemici’ più rumorosi restano in silenzio di fronte alla Caporetto grillina: e intanto affilano le armi, in vista dei prossimi giorni che si preannunciano infuocati anche alla luce dell’attesa decisione dei giudici di Napoli sul nuovo ricorso presentato dagli attivisti contro lo statuto e la leadership di Conte. Un verdetto che rischia di disfare per l’ennesima volta la ‘tela di Penelope’ della rifondazione voluta dall’avvocato di Volturara Appula.
Nel mirino dei malpancisti c’è soprattutto l’inner circle di Conte: nei prossimi giorni si attende un’offensiva, da parte della minoranza interna, nei confronti dei ‘vice’ del presidente M5S, da molti considerati corresponsabili del disastro elettorale.