Piuttosto che rifornire l’Europa la Russia starebbe bruciando il gas che non riesce a vendere. È quanto ricostruito dalla televisione finlandese Yle che attraverso le immagini dallo spazio fornite dalla Nasa avrebbe scoperto delle fiamme sospette e non giustificate provenire dalla stazione di compressione del gas di Portovaya. Il sistema di monitoraggio degli incendi dell’agenzia spaziale statunitense avrebbe rilevato infatti degli incendi nella zona dell’impianto di proprietà di Gazprom.
La Russia brucia il gas destinato all’Europa: la ricostruzione
“La Russia sta bruciando il gas in eccesso che non esporta nei paesi europei” riporta così il quotidiano El Mundo la ricostruzione dell’emittente di Helsinki, che oltre ai sistemi di rilevazione della Nasa si affida anche alle testimonianze dirette e dalle foto che arrivano dalla costa finlandese di Virolahti, immediatamente al di là del confine orientale russo, vicino al quale si trova la stazione di Portovaya.
Secondo quanto testimoniano le immagini dell’agenzia spaziale americana le fiamme dal sito di Gazprom sarebbero iniziate ad apparire da metà giugno, periodo nel quale erano iniziate le limitazioni alle forniture del Nord Stream 1, prima ridotte al 40% del flusso, fino ad arrivare al 20%.
Già da fine maggio Mosca ha disposto la chiusura i rubinetti del gas verso i Paesi baltici, la Polonia, la Bulgaria e, appunto, la Finlandia, che si erano opposti ad aprire un conto in rubli imposto dal Cremlino per il pagamento del combustibile fossile, così da poter aggirare le sanzioni dell’Ue (qui avevamo parlato del taglio del gas della Russia alla Finlandia mentre qui della riapertura delle forniture di gas all’Italia).
La Russia brucia il gas destinato all’Europa: i possibili motivi
“Senza possibilità di vendita in Asia e senza i suoi clienti europei, a cui è stato destinato l’83% delle esportazioni di gas naturale diretto prima della guerra contro l’Ucraina, la Russia ha poche opportunità di vendita”, spiega il quotidiano spagnolo.
Quelle immortalate dalla Nasa non sarebbero fuoriuscite incontrollate di gas, ma una scelta deliberata di bruciare senza recupero energetico il gas naturale in eccesso, pratica che prende il nome di “Flaring“.
Di norma, a questo meccanismo si farebbe però ricorso soltanto in casi di malfunzionamento dell’impianto, come ha spiegato Olga Väisänen, direttrice delle comunicazioni e della responsabilità della società energetica Gasum: “Se, ad esempio, si verifica un malfunzionamento in un terminale GNL o in un impianto di biogas, potrebbe essere necessario ricorrere al flaring, ad esempio, per mantenere costante la pressione nel serbatoio del gas”.
Mentre l’ipotesi di El Mundo è che Gazprom possa avere delle difficoltà a stoccare il gas estratto ma rimasto invenduto nei serbatoi.
“Invece di guadagnare miliardi di euro dalle forniture, i russi sono costretti a bruciare semplicemente nell’aria il gas estratto” ha scritto su Facebook il ministro dell’Energia dell’Ucraina, Herman Galushchenko, per il quale questo sarebbe il segnale che le sanzioni contro Mosca stiano avendo il loro effetto e incoraggiando per questo l’Occidente a inasprirle.
“I ricattatori stanno già avvertendo il danno e il periodo di tempo in cui possono ancora dettare le loro condizioni sta rapidamente diminuendo” ha detto ancora il membro del governo di Kiev (qui abbiamo parlato dell’accordo del grano tra la Russia e l’Ucraina).
Intanto dalla seconda metà di luglio a oggi, Gazprom sta usando il pretesto di una turbina, che non può ricevere manutenzioni a causa delle sanzioni contro la Russia, per ridurre ulteriormente le forniture di Nord Stream 1, tenendo sotto scacco diversi Paesi europei e in particolar modo la Germania, che teme così di cadere in una paralisi energetica e industriale nel prossimo inverno.