Ormai quasi tutti, purtroppo, conosco l’immensa isola di plastica che galleggia in mezzo all’Oceano Pacifico. La Great Pacific Garbage Patch è costituita dagli scarti gettati negli anni dall’uomo e creata dalle tante correnti circolari oceaniche, le Ocean Gyre.
Dalla fusione di queste due parole è nata Ogyre, una start-up italiana che punta a cambiare l’impatto delle attività umane sul mare per creare dei circoli virtuosi tra uomo ed ecosistema. Ogyre diventa in questo modo un simbolo di come i modelli di consumo abbiano intaccato gli equilibri della natura, trasformando una corrente vitale per la salute dei mari in un circolo dannoso per l’oceano.
A pesca di plastica in Liguria
Ogyre è stata la prima azienda in Italia a sperimentare il Fishing for litter: grazie a una comunità di pescatori liguri, vengono recuperati i rifiuti raccolti in mare e trasformati in prodotti da rimettere nel mercato. In questo modo non viene prodotta nuova plastica, ma solo recuperata quella già utilizzata e mai smaltita.
Il funzionamento di Ogyre è abbastanza semplice. I pescherecci raccolgono i rifiuti in mare e li portano poi a terra. Una volta raccolta, la plastica è trasformata in filato che viene riciclato per produrre nuovi prodotti. Uno dei vantaggi fondamentali del Fishing for litter è che non ha bisogno di nuove tecnologie o macchinari particolari, ma solo delle reti dei pescatori, quelle utilizzate tutti i giorni per pescare.
Dalla plastica in mare ai nuovi costumi da bagno
Il paradosso di tutta questa operazione è che la plastica poi ritorna in mare. Stavolta non come rifiuto. Con i filati ottenuti dal recupero dei rifiuti, infatti, Ogyre produce dei costumi da bagno.
Per fabbricare ogni costume ci vogliono fino a due chili di plastica. In più ogni indumento è a sua volta riciclabile, perciò il suo ciclo non termina una volta deteriorato, ma può essere ritrasformato di nuovo in filato per dare vita a nuovi indumenti.
Fishing for litter nelle acque del Mediterraneo
Il Fishing for litter è nato in Scozia nel 2005, da qui poi si è diffuso in tutta Europa. Anche nel Mediterraneo sono state portate avanti delle iniziative, come in Grecia, dove nel 2016 Lefteris Arapakis, un giovane ambientalista, ha pensato a come potesse proteggere gli ecosistemi marini, responsabilizzare le comunità di pescatori locali e inserire la plastica marina nell’economia circolare.
Ha dato così vita a Enaleia, un’impresa sociale senza fini di lucro che coinvolge oltre 1.300 pescatori greci e italiani e che fino ad oggi hanno recuperato dai mari più di 180mila chili di materiale plastico, mentre 20 tonnellate di reti da pesca sono state raccolte e riutilizzate per creare migliaia di calzini.
Enaleia ha costruito una solida rete che include tutte le parti interessate. In particolare, il primo passo del processo in ogni porto in cui opera è educare i pescatori sulle tecniche di pesca sostenibili e addestrarli a partecipare alle azioni della onlus.
Successivamente, in ogni porto, selezionano un responsabile che raccoglie la plastica che ogni peschereccio porta al porto, lo smista e lo smaltisce in appositi contenitori posizionati in ogni luogo operativo. In seguito, la maggior parte della plastica marina raccolta viene destinata al riciclaggio per dar vita a nuovi prodotti, integrandola così nell’economia circolare.
Con la legge Salvamare ora si può raccogliere la plastica e portarla a terra
Fino al 25 giugno, però, raccogliere plastica dal mare e riutilizzarla non era permesso. Questo perché la legge considerava questi rifiuti come speciali, da conferire in discariche specifiche e solo alcuni operatori specializzati erano abilitati a farlo.
Il solo trasporto di questa spazzatura marina era un reato penale, e il peschereccio avrebbe potuto essere sequestrato per traffico illecito di rifiuti.
Dopo quasi quattro anni di lavoro in Parlamento è stata finalmente approvata la legge Salvamare, partita nell’autunno del 2018 su proposta dell’allora ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, ha sanato questa situazione.
D’ora in poi i pescatori che recuperano la plastica in mare possono riportarla in porto, dove dovranno essere predisposte delle isole ecologiche per stoccare i rifiuti e avviarli al riciclo.
Non si tratta solo di plastica, ma anche di grandi rifiuti metallici, elettronici o pneumatici che se rimanessero a lungo in mare potrebbero rilasciare sostanze inquinanti. Una legge fortemente voluta dagli operatori del settore e dalle associazioni ambientaliste Legambiente, Wwf e Marevivo (qui vi abbiamo parlato dello stop europeo alla plastica monouso).
I pescatori di plastica nelle acque italiane
Sui mari italiani, nonostante il vuoto legislativo, sono stati portati avanti molti progetti, grazie ad azioni locali che hanno promosso programmi come Fishing for litter della Regione Lazio insieme a Corepla, Consorzio Nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica.
Lo scorso anno, ad esempio, i pescherecci del Lazio hanno recuperato 25 tonnellate di plastica, con cui sono stati fabbricati dei nuovi arredi urbani donati poi al Comune di Fiumicino. Iniziative analoghe sono state compiute anche in Abruzzo, Toscana, Marche e in Liguria con Ogyre (qui vi avevamo parlato del “robot granchio” che ripulisce la plastica nei mari).