Gli affari “sporchi” di Putin nel Mediterraneo: così aggira le sanzioni

La Russia mette in atto un vero e proprio contrabbando di petrolio da centinaia di milioni di dollari. Per riuscirci fa ricorso a navi cisterna e a "escamotage" al limite

La guerra energetica che la Russia sta portando avanti nei confronti dell’Occidente si svolge anche su terreni non convenzionali che potremmo definire “sporchi”. Come gli affari che Vladimir Putin sembra coltivare nel Mediterraneo, a poca distanza dall’Italia. Mosca ha infatti messo a punto una serie di “trucchi” per vendere petrolio nei Paesi che hanno aderito alle sanzioni imposte dall’Occidente, instaurando di fatto una rete di contrabbando (e intanto schizzano i prezzi: i danni economici e la soluzione).

Come avviene il commercio “invisibile” di petrolio russo

Le strategie messe in campo dal Cremlino nel trasporto marittimo si basano su navi “invisibili” ai radar. Si tratta di unità mercantili che camuffano bandiera e nome e che spengono i rispettivi transponder. L’obiettivo è chiaro: non farsi identificare dai Paesi “ostili”. La tattica russa è stata svelata al mondo dall’Organized Crime and Corruption Reporting Project, un consorzio di centri di investigazione che ha individuato alcune navi russe in Danimarca, in Olanda e perfino in Italia.

Le unità appartengono alla più grande compagnia di navigazione di tutta la Federazione Russa, la Sovcomflot. Un’autentico colosso del settore, proprietaria di 18 navi cisterna dalla portata ingente: ogni natante è in grado di trasportare carburante per centinaia di milioni di dollari.

I “trucchi” del contrabbando russo

Come accennato in precedenza, la Russia riesce ad attuare il contrabbando di petrolio spegnendo il transponder, cioè quel dispositivo automatico che riceve, amplifica e ritrasmette un segnale su una frequenza differente. Se “messa a tacere”, tale strumentazione rende “invisibili” la nave e la relativa tratta ai siti web che monitorano il traffico marittimo in tempo reale.

Ma non è finita qui, perché i russi ricorrono a un altro “escamotage”: la bandiera battuta dalle navi cisterna russe è quella della Liberia, Paese che rappresenta una sorta di paradiso fiscale marittimo. “È quasi impossibile risalire alla proprietà in Russia, soprattutto perché Sovcomflot sta cambiando i nomi delle navi e apparentemente disattivando il rilevamento Gps in alcuni Stati”, ha spiegato Ricardo Soares, esperto di finanza e politica internazionale e professore presso l’Università di Oxford.

Come si possono fermare le “navi fantasma” russe?

La tattica di Mosca non è però perfetta in ogni suo dettaglio e c’è chi è riuscito a disinnescarne il meccanismo fraudolento già in relazione al furto del grano ucraino (in merito al quale l’Europa pronta a giocare la carta segreta). I reparti specializzati di Kiev sono riusciti infatti a intercettare le “navi fantasma” russe anche senza l’aiuto del trasponder. La settimana scorsa almeno tre navi cargo di Mosca sarebbero salpate senza autorizzazione con la massima richiesta di “allerta” diramata dagli Stati Uniti ai Paesi, soprattutto africani, che potrebbero acquistare i cereali sottratti dai porti sul Mar Nero.

La prassi vuole che, per far perdere le loro tracce, queste navi disattivino il loro Ais (Sistema di identificazione automatica) per non rivelare rotta e destinazione. Ebbene, come riporta Il Giornale, l’intelligence ucraina si sarebbe dotata di un sistema che traccia le navi anche senza bisogno del satellitare, in modo da scovare le destinazioni dei prodotti rubati come grano e metalli. La società di localizzazione si chiama Global Fishing Watch, la quale ha iniziato a tracciare le navi che non trasmettono dati Ais grazie a un nuovo sistema. A finire nella “rete” sono i dati radar con apertura sintetizzata (Sar) dai satelliti Sentinel-1 in combinazione con algoritmi di apprendimento automatico. Grazie all’aiuto della società esterna, sono stati confrontati i dati con 100 miliardi di punti Gps per la posizione delle navi che trasmettono tramite Ais.

La dottrina russa del “Grande Mediterraneo”

Per comprendere fino in fondo l’importanza strategica del Mediterraneo nella concezione russa, occorre ricordare che per Mosca il “mare nostrum” si estende dallo Stretto di Gibilterra al Mar Nero. Si tratta di una visione decisamente allargata, dalla portata imperiale (e in termini geopolitici la Russia è tecnicamente un impero nella sua accezione strategica).

Un “Grande Mediterraneo”, come la Russia stessa l’ha definito in un memorandum sulla politica estera del 1995, che per il Cremlino garantisce stabilità e continuità geopolitica tra le grandi masse terrestri rappresentate da Europa, Asia e Africa. Una sorta di “cerniera” da chiudere o aprire all’occorrenza per controllare l’intera area fin dai tempi della guerra in Siria, che ha visto la Russia impegnata direttamente nello scontro.

Chi acquista il petrolio dalla Russia

Che il petrolio e, in generale, le fonti fossili fossero diventata un’arma geopolitica è chiaro da tempo. A differenza delle nazioni industrializzate del G7 (Usa, Giappone, Germania, Regno Unito, Francia, Italia e Canada), che domenica si troveranno sotto la presidenza tedesca in Baviera, i Paesi cosiddetti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) non hanno criticato e condannato la Russia e tantomeno aderito alle sanzioni occidentali.

L’India ha assunto una postura neutrale per gli stretti legami con Mosca su energia e forniture militari, e la Cina – in nome della “partnership senza limiti” – ha aumentato gli acquisti di petrolio. Nel 2021 il Dragone ha comprato 70,1 milioni di tonnellate di petrolio dai vicini (il 30,6% del totale delle esportazioni russe) per un valore di 34,9 miliardi di dollari.

Ma Pechino non è la sola: anche Paesi apertamente schierati con l’Ucraina importano l’oro nero da Mosca. Uno di questi è proprio l’Italia, che a maggio ha quadruplicato la quantità di greggio russo in entrata diventando di fatto il primo importatore per la Russia. Secondo il Servizio federale delle dogane russe, nel 2021 la Federazione ha esportato quasi 230 milioni di tonnellate di petrolio greggio in 36 Paesi, per un valore complessivo di oltre 110 miliardi di dollari.

Perché le sanzioni occidentali contro la Russia non stanno funzionando

Negli ultimi mesi la Russia è insomma riuscita a vendere in Asia, soprattutto a Cina e India, quasi tutto il petrolio che non avrebbe potuto vendere a Europa e Stati Uniti a causa delle sanzioni decise dagli Usa e che saranno imposte anche da Ue e Regno Unito entro la fine dell’anno (dall’embargo del petrolio a gas e merci, cosa prevedono le sanzioni Ue alla Russia). Grazie all’aumento dei prezzi delle materie prime, inoltre, il Cremlino è riuscito a ottenere entrate più consistenti del previsto dalla vendita del greggio e ha annullato quasi del tutto gli effetti delle sanzioni imposte dall’Occidente in questo ambito.

Ma questo è soltanto una delle ragioni per cui le ritorsioni economiche sul petrolio sembrano non funzionare contro il regime di Putin. Un altro motivo è da ricercare nel cosiddetto “effetto boomerang”, secondo il quale le sanzioni si stanno ritorcendo contro i loro stessi promotori. Esse hanno infatti provocato un aumento dei prezzi a livello mondiale, mettendo ulteriormente in ginocchio le economie dei Paesi occidentali.