Stati Uniti, aziende sempre più attente a scelte etiche

Spinte da una forza lavoro sempre più giovane e istruita, le multinazionali statunitensi sono spesso pronte a schierarsi in questioni politiche ed etiche, lo dimostra la pioggia di proteste contro la Corte Suprema per la questione dell'aborto

Dopo che venerdì la Corte Suprema degli Stati Uniti ha compiuto il drammatico passo di rovesciare la storica sentenza Roe v. Wade del 1973, che riconosceva il diritto costituzionale di una donna all’aborto e lo legalizzava a livello nazionale, alcune tra le più grandi società statunitense hanno fatto subito sentire la propria voce. Un numero piccolo ma crescente di aziende, tra cui banche e colossi tecnologici, sta adottando politiche per offrire benefici ai dipendenti statunitensi che potrebbero aver bisogno di accedere a servizi di aborto. Nella maggior parte dei casi, le società hanno dichiarato che copriranno le spese dei dipendenti se devono viaggiare per i servizi di aborto.

La sentenza

“La Costituzione non fa riferimento all’aborto e non protegge nessun diritto simile implicitamente”, ha affermato il giudice Samuel Alito nelle 213 pagine della sentenza “Dobbs v Mississippi”.

La Corte, in una sentenza approvata 6 a 3 grazie alla maggioranza conservatrice, ha confermato una legge del Mississippi che vieta l’aborto dopo le 15 settimane di gravidanza, quando molte donne non sono neanche consapevoli di essere incinta. I tre democratici della corte – i giudici Stephen Breyer, Sonia Sotomayor ed Elena Kagan – hanno affermato che la maggioranza ha relegato le donne a una “cittadinanza di seconda classe”.

Le aziende si offrono di pagare i viaggi per l’aborto

Subito dopo la decisione, JPMorgan ha comunicato ai dipendenti che avrebbe pagato i loro viaggi negli Stati che consentono l’aborto legale, mentre Citigroup aveva già iniziato a coprire le spese di viaggio per i dipendenti che si recano fuori dallo Stato per abortire a causa delle nuove restrizioni entrate in vigore in Texas e in altri luoghi, diventando la prima banca grande banca statunitense a prendere questo impegno.

Tra le aziende che hanno comunicato ai loro dipendenti che copriranno le spese di viaggio per un aborto ci sono Yelp, Amazon, Levi Strauss, Tesla, Starbucks, Netflix, Mastercard.

Disney ha detto ai dipendenti che riconosce l’impatto della sentenza sull’aborto, ma rimane impegnata a fornire un accesso completo a un’assistenza sanitaria di qualità, anche per gli aborti. Meta (che controlla Facebook, WhatsApp e Instagram) rimborserà le spese di viaggio per i dipendenti che cercano cure riproduttive fuori dallo stato, ma ha anche affermato di stare “valutando il modo migliore per farlo date le complessità legali coinvolte“. Le aziende che offrono rimborsi per viaggi legati all’aborto potrebbero essere infatti vulnerabili alle azioni legali di gruppi pro-vita e stati a guida repubblicana e persino a potenziali sanzioni penali.

Il grande dilemma: quale futuro?

L’impatto della storica sentenza sarà comunque subito trasformativo. Secondo il Guttmacher Institute, un’organizzazione di ricerca che sostiene i diritti all’aborto, 26 stati vieteranno o probabilmente vieteranno quasi tutti gli aborti. Tredici hanno le cosiddette “leggi trigger”, progettate per mettere automaticamente fuori legge l’aborto appena la Roe v. Wade viene ribaltata.

Di fronte a temi del genere le aziende sono in un “dilemma”, secondo Doug Pinkham, presidente del Public Affairs Council, un gruppo con sede a Washington che fornisce consulenza alle aziende sull’impegno politico. Da un lato c’è una forza lavoro sempre più giovane e istruita che li esorta a prendere posizione su temi etici e politici, mentre dall’altro c’è il rischio di andare contro i legislatori negli Stati dove fanno ingenti affari.