Soglia di povertà: quali sussidi richiedere se si è a rischio

Ecco quali sussidi sono a disposizione dei lavoratori in difficoltà economiche e a rischio povertà o esclusione sociale

Se ne parla sempre più nelle ultime ore: i dati Istat che fotografano la situazione italiana non descrivono una situazione rosea.

Più di 18 milioni di italiani risultano infatti a rischio povertà ed esclusione sociale, mentre in base ai dati Istat del 2017, almeno 5 milioni si trovano in una condizione di povertà assoluta. L’Istituto considera sotto la soglia di povertà quelle persone che sono a rischio di reddito insufficiente, deprivate materialmente o con bassa intensità lavorativa e disoccupazione. È anche disponibile uno strumento utile per calcolare la propria soglia di povertà e capire dove ci si colloca, con il proprio tenore di vita.

Se il risultato indica che ci si trova in una situazione di rischio povertà o al di sotto della soglia calcolata, è importante sapere quali sussidi lo Stato mette a disposizione e come richiederli, in caso di bisogno.

Reddito di inclusione sociale o REI

Il Reddito di Inclusione sociale è un sussidio di cotrasto alla povertà introdotto dall’ex governo: nel 2017 sono stati stanziati 1,6 miliardi di euro, saliti a 1,8 nel 2018. L’assegno sostituisce di fatto il Sostegno per l’Inclusione Attiva, o SIA.

Grazie al REI, coloro che rispondono a determinati requisiti possono ottenere un contributo economico mensile fino ad un massimo di circa 540 euro. L’importo si modula sulla base del numero di componenti della famiglia e parte da un minimo di 187,5 euro per una sola persona. I requisiti necessari per usufruire del REI prevedono un ISEE non superiore a 6 mila euro annui, assenza di contributi economici superiori a 600 euro mensili e possedere un patrimonio immobiliare del valore massimo di 20 mila euro.

Possono fare domanda i cittadini italiani o comunitari o coloro che hanno un permesso di soggiorno CE da almeno 2 anni. Da luglio inoltre è più semplice ottenerlo, in quanto sono decaduti i requisiti riguardanti la composizione del nucleo familiare.

Naspi o pensione sociale

La Naspi è la nuova indennità di disoccupazione che dal 2015 è riconosciuta ai dipendenti che perdono il lavoro per motivi indipendenti dalla loro volontà. Per beneficiare della Naspi il lavoratore deve aver lavorato nel privato come dipendente, non deve aver presentato le dimissioni e deve aver maturato almeno 13 settimane di contribuzione negli ultimi 2 anni, effettuando almeno 30 giorni di lavoro negli ultimi 12 mesi. È possibile ottenere la Naspi anche per il lavoratore dipendente che si è licenziato per giusta causa.

Per poter calcolare la Naspi, è necessario conoscere le retribuzioni ricevute nel corso degli ultimi 4 anni, il numero di settimane di contribuzione versate in 4 anni, il coefficiente da applicare (4,33). Bisogna quindi sommare le retribuzioni imponibili, dividere la somma ottenuta per il numero di settimane di contribuzione versata e moltiplicare il risultato per il coefficiente 4,33. Si dovrà inserire il risultato nelle griglie definite annualmente.

Per il 2018, in caso di importo inferiore a 1195 euro, il disoccupato può percepire un assegno pari al 75% di 1195 euro. L’importo massimo è di 1300 euro al mese. Oltre il terzo mese, l’importo dell’indennità diminuisce del 3% ogni mese.

La Naspi dura per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi 4 anni. Per i lavoratori precari disoccupati invece non può superare i 6 mesi.

Dis-Coll

Il Dis-Coll è un bonus di disoccupazione in vigore dal 1 maggio 2015 e spetta a collaboratori coordinati e continuativi (co.co.co.) e quelli a progetto (co.co.pro.).

Per poter usugruire della prestazione, introdotta come sperimentazione dal cosiddetto Jobs Act dell’ex governo Renzi, è necessario essere in stato di disoccupazione, aver versato almeno 3 mesi di contributi nei 12 mesi precedenti alla perdita del lavoro e aver versato almeno 1 mese di contributi nell’anno in cui si è perso il lavoro o avere un rapporto di collaborazione della durata di un mese, con un reddito pari alla metà dell’importo che dà diritto alla contribuzione.

Dall’indennità Dis-Coll sono esclusi i collaboratori titolari di pensione, i titolari di partita Iva, gli amministratori e sindaci, i revisori di società, le associazioni o altri enti.

Come si legge sul sito Inps, l’importo del Dis-Coll varia a seconda “del reddito imponibile ai fini previdenziali risultante dal versamento dei contributi effettuati, derivanti dai rapporti di collaborazione in relazione ai quali è riconosciuto il diritto all’indennità in parola, relativo all’anno in cui si è verificato l’evento di cessazione dal rapporto di lavoro e all’anno civile precedente, diviso per il numero di mesi di contribuzione o frazione di essi”. La somma sarà pari al 75% del reddito medio mensile e ha una durata pari alla metà della durata del rapporto di collaborazione calcolata dal 1 gennaio dell’anno solare precedente alla disoccupazione.