Lavoro: al Senato un disegno di legge per una nuova normativa sul mobbing

L’intento è quello di riformare profondamente la materia del contrasto alle molestie e alle violenze sul lavoro, introducendo una serie di disposizioni davvero innovative.

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Domenico Tambasco

Avvocato

Nato a Milano, ha sempre considerato la difesa dei diritti la sua prima vocazione, diventando una scelta naturale la carriera forense. Diplomato presso il Liceo Classico Omero di Milano con 60/60, si è laureato a pieni voti in Giurisprudenza presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore nel 2000, con una tesi sul "Principio di legalità nella codificazione pio-benedettina" che è stata successivamente pubblicata su Rivista di Diritto Ecclesiastico, fasc. 1/2002.

Quante persone hanno il coraggio di denunciare le vessazioni, le violenze o le molestie subite sul posto di lavoro? Quante probabilità di veder riconosciuta la propria domanda di giustizia hanno i lavoratori e le lavoratrici che si rivolgano oggi alla giustizia italiana?

I dati emersi nella conferenza stampa svoltasi lunedì 20 settembre in Senato sono sconcertanti: soltanto l’1% degli episodi molesti o violenti sul lavoro viene infatti denunciato, come ha riferito il direttore dell’ILO (International Labour Organization) dott. Gianni Rosas, intervenuto nel corso della presentazione del DDL 2358 a firma della Senatrice Donatella Conzatti. Quanto alle probabilità che l’esigua percentuale di denunce trovi accoglimento dinanzi ai Tribunali italiani, sconcerta il dato offerto dai relatori: addirittura parliamo del 12% dei ricorsi, a fronte del 69% di denunce rigettate. Quasi 7 presunte vittime su 10, dunque, si vedono oggi dar torto dalla magistratura del lavoro.

Non meglio vanno i dati relativi alle medie dei risarcimenti nel caso di accertamento in sede giudiziale delle condotte vessatorie: si va da un minimo di 3.783,00 euro ad un massimo di 94.330,09 euro, con una media di soli 28.239,69 euro.

Si tratta, con ogni evidenza, di cifre non degne di un paese civile, considerando soprattutto la gravità delle conseguenze dannose professionali, individuali e familiari che colpiscono le vittime della conflittualità lavorativa.

Ma quali sono le cause di questi dati a dir poco sconcertanti?

Esaminiamole:

  • Il “muro di gomma” dell’omertà, che spesso avvolge come una spessa cortina fumogena gli ambienti di lavoro molesti: “Scusami, ma non voglio fare la tua stessa fine” è la risposta che spesso si sentono dare le vittime dai colleghi chiamati a testimoniare sulle loro tragedie lavorative;
  • La complessità della fattispecie oggetto di prova, che nell’attuale diritto vivente è composta non solo dal fatto illecito della condotta persecutoria o molesta, ma anche e soprattutto dall’intento persecutorio, un elemento psicologico soggettivo su cui si arena la quasi totalità delle denunce presentate;
  • La logica del “risarcire nei limiti di quanto si è perso” invece della filosofia del “chi sbaglia paga”, ovvero risarcire la vittima per la gravità dell’illecito compiuto dall’aggressore: ed è la differenza che corre tra risarcimento in ottica compensativa e risarcimento con finalità punitivo/dissuasiva;

Da questo manifesto vuoto di tutela, dunque, prende le mosse il disegno di legge S. 2358 che nel presentarsi quale attuazione della Convenzione OIL n. 190/2018, ha l’intento di riformare profondamente la materia del contrasto alle molestie e alle violenze sul lavoro, introducendo una serie di disposizioni davvero innovative.

La prospettiva è quella della tolleranza zero, al fine di garantire “Il diritto di tutti ad un mondo libero dalla violenza e dalle molestia” .
Quattro i punti qualificanti del disegno di legge, che tendono proprio ad incidere sui “punti critici”:

  1. Onere della prova alleggerito a favore delle vittime, che potranno dimostrare l’esistenza di molestie o violenze ai propri danni attraverso semplici indizi, ovvero per mezzo di circostanze precise e concordanti;
  2. Protezione dei testimoni e dei sommari informatori rispetto a ritorsioni e rappresaglie dei datori di lavoro, attraverso la previsione della presunzione di nullità di tutti gli atti e provvedimenti modificativi della propria situazione lavorativa (licenziamenti, provvedimenti disciplinari, trasferimenti, cambiamenti di mansioni etc)
  3. Definizione omnicomprensiva di violenza e di molestie, in modo non solo da ricomprendervi tutte le possibili forme di conflittualità lavorativa (mobbing, straining, work stalking, singole violenze, molestie, molestie sessuali) ma anche da declinarle in chiave oggettiva, prescindendo da qualsiasi intento o volontà persecutoria, come abbiamo visto pressoché impossibile da provare;
  4. Risarcimento in ottica anche punitiva, attraverso l’introduzione dei punitive damages di derivazione anglosassone: nel caso di accertamento di una condotta oggettivamente violenta o molesta, il Giudice del lavoro dovrà applicare ad ogni soggetto responsabile una sanzione civile ricompresa da un minimo di 20.000,00 euro ad un massimo di 200.000,00 euro, raddoppiati (da 40.000,00 a 400.000,00) nel caso in cui derivasse un’invalidità lavorativa permanente;

Non manca, inoltre, l’ottica preventiva, finalizzata ad anticipare la tutela nei luoghi di lavoro e non nelle aule di Tribunale: a ciò contribuiscono misure tipiche di informazione e formazione, di organizzazione, vigilanza e protezione sui luoghi di lavoro a carico di tutti i soggetti preposti alla sicurezza (datori di lavoro, responsabili della sicurezza aziendale, CUG, Direzione Regionali Inail, RSA, medici competenti) ma soprattutto misure atipiche, devolute all’autonomia delle parti sociali, attraverso lo strumento più importante, ovvero la Contrattazione Collettiva Nazionale.

Nella convinzione che false accuse di molestie sono esse stesse molestie, per evitare che questo incisivo strumento di contrasto possa trasformarsi paradossalmente in una pericolosa arma di ricatto all’interno dei luoghi di lavoro, il ddl n. 2358 Conzatti prevede dei limiti interni, finalizzati a reprimere i possibili abusi: responsabilità processuale aggravata nel caso di denunce dolose o gravemente colpose e licenziamento per giusta causa nell’ipotesi di azioni dolosamente false sono i due principali meccanismi.

Infine, viene considerato il caso dei lavoratori e delle lavoratrici che, sfibrati da anni di violenze di molestie lavorative, decidano di abbandonare spontaneamente il posto di lavoro rassegnando le dimissioni per giusta causa: il disegno di legge prevede, analogamente all’ipotesi del licenziamento per giusta causa illegittimo, un indennizzo a favore delle vittime compreso tra un minimo di 6 ed un massimo di 36 mensilità della retribuzione globale di fatto.

E’ necessario oggi, non domani, percorrere i primi passi sulla strada di una cultura del lavoro fondata sul rispetto reciproco e sulla dignità: perché non si abbiano mai più a ripetere casi come quello che ha colpito la povera Sara Pedri.