Flat tax 2023: cambiano i limiti di fatturato. E si danneggiano i lavoratori dipendenti

Con la Manovra varata dal governo Meloni cambia dal 2023 il regime forfettario per le partite Iva. Le novità sui requisiti, bocciate da Corte dei Conti e Bankitalia

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista economico-finanziario

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

Con la Manovra varata dal governo Meloni cambia dal 2023 il regime forfettario per le partite Iva. Ma cosa si modifica esattamente? In questi giorni in tanti avete scritto a QuiFinanza per capire meglio quali sono le novità per autonomi e liberi professionisti. Vediamo allora di fare chiarezza.

Cos’è il regime forfettario e chi lo può avere

Il regime forfettario è stato introdotto dalla Legge di stabilità del 2015 e rappresenta un regime sostitutivo dell’Irpef, delle relative addizionali e dell’IRAP (quest’ultima comunque dal 2022 non è dovuta per tutti i contribuenti che possono accedere al regime forfettario). Prevede importanti semplificazioni ai fini dell’IVA e a fini contabili e consente, per gli esercenti attività di impresa, di accedere a un regime contributivo opzionale.

L’aliquota dell’imposta sostitutiva è fissata al 15% e si applica a un reddito determinato forfettariamente moltiplicando il fatturato per coefficienti di redditività differenziati sulla base del codice ATECO dell’attività esercitata. Per i primi 5 anni di attività, in presenza di specifici requisiti, l’aliquota è ridotta al 5%.

I contribuenti che aderiscono al regime forfettario non addebitano l’IVA sulle fatture emesse e di conseguenza non possono detrarla sulle fatture pagate. Se esercitano attività di impresa, possono richiedere la riduzione del 35% dei contributi dovuti alla gestione INPS di competenza, con abbattimento proporzionale dei periodi accreditati ai fini pensionistici.

I requisiti per accedere al regime forfettario

I limiti da rispettare sono prevalentemente due: limiti di fatturato e di spese accessorie.

I limiti di fatturato da non superare per accedere al regime forfettario sono stati oggetto di numerose modifiche nel corso degli anni. Originariamente questi limiti erano differenziati, compresi tra 15mila e 40mila euro a seconda del codice ATECO dell’attività esercitata come anche i relativi coefficienti di redditività. Con la legge di bilancio per il 2019 è stato introdotto il limite unico di fatturato a 65mila euro per tutte le attività, mantenendo differenziati solo i coefficienti di redditività.

L’altro limite da rispettare per l’accesso al regime riguarda le spese per lavoro accessorio, lavoro dipendente e collaborazioni che, secondo la modifica introdotta con la legge di bilancio per il 2020, complessivamente non possono superare i 20mila euro annui.

Entrambi i limiti devono essere rispettati non solo per l’accesso ma anche per la permanenza nel regime agevolato. In caso di violazione dei requisiti, la normativa in vigore prevede che il contribuente rientri nel regime ordinario a partire dall’anno di imposta successivo.

Regime forfettario: cosa cambia dal 2023 per partite Iva, autonomi e professionisti

E’ proprio su questi ultimi due aspetti – limite di fatturato e tempi di esclusione dal regime agevolato – che il governo è intervenuto in Manovra. Cosa cambia, dunque, dal 2023?

Come prima cosa, viene innalzata a 85mila euro, da 65mila, la soglia di fatturato che delimita l’applicazione del regime forfettario per i contribuenti persone fisiche che esercitano attività d’impresa, arti o professioni.

Altra novità è in merito ai tempi di esclusione dal regime forfettario, con la decadenza anche di tutte le agevolazioni in termini di IVA e contributi:

  • esclusione immediata se il fatturato supera la soglia di 100mila euro di fatturato
  • esclusione l’anno di imposta successivo sta successivo se il fatturato è fra 85mila e 100mila euro.

Cos’è la nuova flat tax incrementale e come funziona

Un’altra novità ancora riguarda l’introduzione della cosiddetta flat tax incrementale. Cos’è e come funziona? Qui le cose sono più complicate e stanno creando non pochi problemi.

Di fatto, i contribuenti con redditi da impresa o lavoro autonomo che non aderiscono al regime forfettario potranno accedere, solo per il 2023, a un regime sostitutivo dell’Irpef e delle relative addizionali, con aliquota del 15% applicabile a un imponibile massimo di 40mila euro, per le sole eccedenze dei redditi di questa natura del 2023 rispetto al più alto tra quelli dichiarati tra il 2020 e il 2022, aumentati del 5%.

Perché la nuova flat tax danneggia i lavoratori dipendenti

La Manovra, però, anche su questo punto, è stata bocciata sia dalla Corte dei Conti che dalla Banca d’Italia. Secondo l’analisi di Bankitalia, complessivamente questi interventi determinerebbero una riduzione delle entrate, pari a 0,3 miliardi nel 2023, 1,2 nel 2024 e 0,4 nell’anno successivo.

Ma il punto è che l’ampliamento della platea dei contribuenti che accedono al regime forfettario restringe ulteriormente l’ambito di applicazione della progressività nel nostro sistema di imposizione personale sui redditi, garantita dall’Irpef.

Come già evidenziato in precedenza dalla Banca d’Italia, e di nuovo ora, la sussistenza di regimi fiscali eccessivamente differenziati tra differenti tipologie di lavoratori “pone anche un rilevante tema di equità orizzontale, con il rischio di trattare in modo ingiustificatamente dissimile individui con la stessa capacità contributiva“.

Inoltre, prosegue Bankitalia, in un periodo di inflazione elevata, la coesistenza di un regime di flat tax come quello forfettario, e di un regime soggetto alla progressività, come quello dell’Irpef, comporta un’ulteriore penalizzazione per i redditi sottoposti a quest’ultimo, in quanto gli eventuali adeguamenti delle retribuzioni alla maggiore inflazione comporteranno una quota più ampia di reddito assoggettata ad aliquota marginale più elevata – il cosiddetto drenaggio fiscale -, cui invece i contribuenti del regime forfettario non sono sottoposti.

Anche limitandosi all’area del reddito di impresa o da lavoro autonomo, spiega ancora Palazzo Koch, “il regime decisamente più favorevole garantito al di sotto di determinate soglie di giro d’affari può condurre, come le prime evidenze empiriche mostrano, a scelte organizzative subottimali e incentivare l’evasione per evitare l’aggravio fiscale in cui si incorre al superamento delle stesse”.

Flat tax e evasione fiscale: cosa dicono i dati

La Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva per l’anno 202211, analizzando i dati delle dichiarazioni dei redditi per l’anno fiscale 2019, prosegue Bankitalia, mostra che dei circa 2 milioni di contribuenti esercenti attività d’impresa, arti e professioni con ricavi inferiori a 100mila euro, il 74% aveva aderito al regime forfettario, che da quell’anno aveva visto l’introduzione della soglia unica di ricavi a 65mila come requisito di accesso.

L’analisi mostra inoltre la presenza di una forte discontinuità nella distribuzione dei contribuenti per fatturato dichiarato intorno alla soglia dei 65mila euro nel 2019, “discontinuità che non si registrava negli anni precedenti l’applicazione del nuovo regime forfettario”.

L’introduzione della flat tax incrementale, sebbene possa attutire le differenze di trattamento tra lavoratori autonomi e imprenditori con ricavi sotto o sopra la soglia di accesso al regime forfettario, “difficilmente potrà eliminare l’eccessiva concentrazione dei fatturati dichiarati su valori appena inferiori alla soglia“.

Per evitare che la stratificazione nel tempo di regimi speciali crei ulteriori spazi per comportamenti elusivi ed evasivi, conclude la Banca d’Italia, “occorrerebbe mirare a una riforma organica del complessivo sistema fiscale, con l’obiettivo di semplificarlo e di accrescerne l’equità”.