Che differenza c’è tra norma e disposizione

Le differenze tra norma e disposizione sono tratti chiare e ben definite. Ma nella prassi quotidiana spesso si sovrappongono una con l'altra. Ecco come

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista economico-finanziario

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

Quale differenza intercorre tra una norma e una disposizione. Troppo spesso tra i due termini si rischia di fare un po’ di confusione. Partiamo con il definire cosa sia una norma: con questo termine, almeno in diritto, ci si riferisce a una regola di condotta. L’insieme delle varie norme servono a disciplinare correttamente la vita organizzata. Ossia quella che viviamo tutti i giorni. Da un punto di vista leggermente più linguistico, si può affermare che una norma costituisca un precetto.

Diverso il discorso che riguarda la disposizione, anche se molto spesso viene utilizzato come sinonimo di norma. Nel linguaggio giuridico, ad ogni modo, risulta essere utilizzato in maniera più ristretta. Si usa per designare dei veri e propri enunciati linguistici di senso compiuto, nei quali viene articolato il testo di un atto normativo.

Ma entriamo nel dettaglio e scopriamo quali differenze ci sono tra i due termini.

Che differenza c’è tra norma e disposizione

La differenza che c’è tra norma e disposizione rimanda a quella tra normativa astratta e concreta o, in altri termini, tra il risultato dell’interpretazione di tipo letterale e di quella di tipo contestuale della legge. Tale dicotomia, già oggetto di analisi da parte dei giuristi medievali nell’epoca del Diritto Comune, è stata approfondita in modo particolare alla fine del secolo scorso. In questo periodo l’affermazione della differenza che c’è tra norma e disposizione è divenuta emblema di quella tra due approcci interpretativi del diritto sostanzialmente opposti: quello testuale e acontestuale e quello sistemico e contestualizzato.

L’opzione per l’uno o per l’altro metodo non è priva di rilevanti conseguenze in ordine ai risultati relativi all’applicazione della legge da parte dei giudici al caso concreto: tali risultati possono rivelarsi differenti o, addirittura, contrastanti.

Come si ricava dalle definizioni della dottrina moderna, per disposizione giuridica deve intendersi il dettato letterale della norma o di una sua parte fornita di senso compiuto. La disposizione, quindi, non necessariamente coincide con un articolo, o con un comma, dell’atto normativo in cui è inserita. Essa può essere, idealmente, estrapolata dalla norma di cui fa parte ed assumere il significato che deriva dall’applicazione delle mere regole linguistico-grammaticali.

Norma e disposizione nell’ordinamento giuridico

La complessità dell’ordinamento giuridico e l’infinità e imprevedibilità dei casi concreti non consentono di risolvere qualsivoglia questione giuridica interpretando alla lettera la legge.

Per colmare lacune e contraddizioni derivanti dall’applicazione letterale è stato previsto che gli operatori del diritto possano far ricorso a metodi interpretativi logico-sistemici. Si rende così possibile, e necessario, far riferimento sia al contesto immediato dell’articolo, capo o titolo del testo in cui la frase o il periodo si trovano, sia all’intero ordinamento giuridico e ai principi fondamentali su cui esso si basa.
Conseguenza di ciò è che la differenza che c’è tra norma e disposizione assume una dimensione tale che non solo non sussiste, tra le due, una perfetta identificazione, ma a una norma possono essere correlate più disposizioni. E viceversa.

La materia è stata oggetto di approfondimento ad opera di illustri costituzionalisti, coerentemente con i connotati pubblicistici della questione. Emerge dai loro studi che nell’ordinamento italiano si riscontra anche l’ipotesi estrema dell’esistenza di norme prive di disposizioni, quali i principi generali e la consuetudine.