Patto di non concorrenza del dipendente: cosa c’è da sapere

Vediamo insieme come può essere regolamentato il divieto di concorrenza da parte del dipendente al termine del rapporto di lavoro

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Alessandra Moretti

Consulente del lavoro

Laureata, è Consulente del Lavoro dal 2013. Esperta di gestione e amministrazione del personale.

Durante lo svolgimento del rapporto lavorativo, il lavoratore è tenuto ad un obbligo di fedeltà nei confronti del datore di lavoro, che si concretizza nel non poter trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poterle recare pregiudizio (art. 2105 c.c.).
Si tratta di un obbligo legale che non necessita di particolari accordi con il datore di lavoro. Ma come può essere regolamentato il divieto di concorrenza da parte del dipendente al termine del rapporto di lavoro?

Il patto di non concorrenza

Con l’accordo di entrambe le parti, è possibile stipulare un patto di non concorrenza che definisca l’attività che può svolgere il lavoratore durante il periodo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro.

Si tratta di una clausola contrattuale accessoria con caratteristiche ben precise, in assenza delle quali viene considerata nulla, in particolare:

  • occorre la forma scritta;
  • deve essere presente la pattuizione di un corrispettivo adeguato alle limitazioni stabilite;
  • deve essere limitata in termini di durata, oggetto e luogo.

Per quanto riguarda la durata, occorre dire che non deve essere superiore a 5 anni per i dirigenti, ed a 3 anni negli altri casi. Se la durata è stabilita in misura maggiore oppure non viene specificata, vengono applicati automaticamente i termini di legge.

Relativamente all’oggetto, il patto di non concorrenza può riguardare qualsiasi attività che possa competere con quella del datore di lavoro, senza limitazione alle sole mansioni già svolte in azienda . Però il vincolo imposto al lavoratore non deve compromettere la possibilità di produrre un reddito adeguato alle sue esigenze di vita, a pena di nullità.

Il patto è altresì nullo quando la limitazione territoriale non viene espressamente indicata oppure quando vengono apposte indicazioni generiche e troppo estese.

Il patto di non concorrenza può essere concluso in qualsiasi momento: contestualmente all’assunzione, nel corso del rapporto di lavoro oppure al momento della cessazione o a rapporto già terminato.

Modalità di pagamento e tassazione

Possono essere stabilite diverse modalità di pagamento e sono dunque ammessi:

  • pagamenti con cadenza mensile a partire dalla sottoscrizione del patto di non concorrenza;
  • pagamenti effettuati interamente alla cessazione del rapporto di lavoro;
  • pagamenti rateali durante tutta la durata del vincolo a partire dal termine del rapporto di lavoro;
  • pagamenti del totale pattuito alla scadenza del vincolo;
  • forme di pagamento miste dei punti precedenti.

Dal punto di vista previdenziale, se il corrispettivo viene erogato mentre il rapporto di lavoro è ancora in essere, viene considerato a tutti gli effetti retribuzione e, di conseguenza, rientra nella base imponibile per il calcolo della contribuzione Inps. Diversamente, quando il pagamento avviene a rapporto di lavoro già cessato, esso non è più soggetto alla contribuzione obbligatoria.

Anche sotto l’aspetto fiscale occorre differenziare tra pagamento in costanza di lavoro e pagamento al termine o successivo alla cessazione del dipendente. Nel primo caso, il corrispettivo relativo al patto di non concorrenza viene tassato secondo la modalità ordinaria con le aliquote per scaglioni . Invece, nel secondo caso, si utilizza la tassazione separata con la stessa aliquota applicata al TFR.

Violazione del patto di non concorrenza

Il datore di lavoro può tutelarsi contro le possibili violazioni del patto di non concorrenza da parte del lavoratore prevedendo una specifica clausola penale in caso di inadempimento. In questo modo potrà già determinare l’importo del danno subito da richiedere come risarcimento, in aggiunta alla restituzione di quanto già corrisposto al dipendente a titolo di patto di non concorrenza.

Nel caso in cui il datore di lavoro ravvisi un pericolo immediato, ha inoltre la facoltà di richiedere al Tribunale un provvedimento d’ urgenza (ex art. 700 c.p.c.), finalizzato ad ottenere la cessazione dell’attività pericolosa.

Le informazioni hanno carattere generale. Si consiglia sempre di verificare in base alla situazione specifica, al settore di appartenenza e al CCNL applicato.