Licenziamento per assenteismo, cosa dice la legge

L'assenteismo, se provato, può rientrare nel licenziamento per giusta causa: ecco cosa dice la legge

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

All’interno di un luogo di lavoro, l’assenteismo del dipendente può manifestarsi per una molteplicità di cause, di ambito personale, familiare o sociale.

Tuttavia, capita che dietro la dichiarazione di una causa di assenza da parte del lavoratore, si nasconda in realtà una motivazione non accettabile da parte del datore di lavoro. Se ciò poi accade nelle grandi aziende, l’assenteismo incide negativamente sia sull’economia aziendale, sia sugli altri lavoratori – mettendo a rischio il profitto e costringendo talvolta i colleghi a svolgere attività aggiuntive, per coprire il ‘buco’ lasciato dal dipendente assenteista.

Ecco perché, quando provato nella sua gravità, l’assenteismo può costituire una delle ragioni che porta al licenziamento per giusta causa e senza preavviso. La condotta del lavoratore dipendente infatti è talmente grave da non consentire di proseguire il rapporto di lavoro, essendo venuto meno il vincolo fiduciario.

Sulla scorta di queste premesse, vediamo insieme che cosa dice la legge a riguardo e a che cosa un dipendente deve prestare attenzione, per evitare che il proprio datore di lavoro receda unilateralmente dal contratto. I dettagli.

Licenziamento per assenteismo: che cos’è in breve

Tra i licenziamenti per giusta causa, abbiamo accennato sopra, vi è anche il licenziamento per assenza ingiustificata. Precisiamo subito che, solitamente, è nelle norme dei Ccnl di categoria, che le aziende possono trovare gli orientamenti da seguire in tema di assenteismo dei lavoratori.

Il licenziamento per giusta causa rientra nel cosiddetto licenziamento disciplinare, che comprende anche il licenziamento per giustificato motivo. Il primo caso è il più importante anche come gravità ed è, come detto, senza il cd. preavviso da parte del datore di lavoro. Il secondo, invece, avviene nel momento in cui il lavoratore commette delle infrazioni meno gravi. In questo caso il datore di lavoro deve rispettare il termine di preavviso indicato dal contratto.

Regola generale è che il  lavoratore che si assenti dal lavoro, deve rendere nota preventivamente – e giustificare – l’assenza al datore di lavoro, o al più tardi il giorno stesso nel quale vuole non presentarsi in ufficio o nel luogo di lavoro.

Mentre, nel caso in cui si assenti senza comunicare al datore di lavoro la ragione, compie una violazione disciplinare che potrà essere sanzionata con uno dei provvedimenti disciplinari, previsti dagli stessi contratti collettivi. Tra essi, il recesso unilaterale, ossia il licenziamento, è quello più grave.

In ogni caso, è il singolo Ccnl ad indicare in modo chiaro le sanzioni applicabili all’”assenza ingiustificata”, ma anche il numero massimo di assenze ingiustificate oltre cui il rischio di licenziamento diventa reale.

Casi tipici di assenteismo

Quali sono le situazioni più frequenti in cui si evidenzia questo cattivo comportamento del lavoratore o della lavoratrice? Ebbene, la più frequente causa di assenza ingiustificata dal posto di lavoro consiste nella malattia, ossia in quei casi in cui la malattia viene di fatto ‘abusata’ come giustificazione di assenza.

Ma attenzione perché l’assenteismo può anche essere legato al cattivo clima lavorativo, al pessimo rapporto con i colleghi e/o i superiori, o alla scarsa volontà di lavorare.

Non mancano poi i casi in cui il dipendente assenteista non va in ufficio per svolgere un altro lavoro, spesso in nero, e a volte addirittura in concorrenza con l’azienda per cui lavora. Ci sono altresì le assenze ingiustificate che servono ad allungare le festività e i ponti, anch’esse sanzionabili dall’azienda perché potenzialmente dannose per la produzione e integranti una violazione disciplinare del dipendente o della dipendente assunta.

E non dimentichiamo gli assenteisti che adottano questo comportamento per farsi licenziare, allo scopo di intascare la Naspi. Quest’ultima è infatti un’indennità di disoccupazione che prescinde dalle ragioni del licenziamento, anche se sono attese a breve novità su questo fronte. In particolare con l’approvazione del disegno di legge “Collegato lavoro”, attualmente in esame in Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, chi dopo il quinto giorno non si presenterà al lavoro senza giustificazione sarà considerato dimissionario.

Codice Civile e assenza ingiustificata: le norme di riferimento

Tecnicamente parlando, l’assenza ingiustificata rappresenta un illecito civile e costituisce un caso di responsabilità disciplinare. Non presentarsi al lavoro per più giorni e in modo sistematico integra infatti una violazione degli obblighi di cui all’art. 2104 Codice Civile, relativo alla diligenza del prestatore di lavoro, il quale dispone quanto segue:

Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale.

Al contempo, l’assente ingiustificato dà luogo ad una violazione dei doveri di fedeltà e di correttezza, di cui agli artt. 1175 e 1375 del codice Civile. Insomma, la legge è molto chiara: nel momento in cui il lavoratore non rende nota la propria assenza al datore di lavoro, compie una violazione degli obblighi connaturati al rapporto di lavoro in essere.

Ricordiamo altresì che il datore di lavoro farà bene a munirsi di prove dell’assenza ingiustificata da parte del lavoro, che potranno sostenere la sua tesi – e la decisione del licenziamento – in ipotesi di contestazione in tribunale o nelle sedi opportune.

Le conseguenze per il lavoratore (diverse dal licenziamento)

I lavoratori subordinati, che dovessero assentarsi dal posto di lavoro senza rendere note all’azienda le motivazioni di questo comportamento, non hanno diritto allo stipendio per le ore di assenza. Inoltre, la mancanza dall’ufficio determina un’altra conseguenza negativa per chi è stato assunto: non consente di maturare gli elementi differiti in busta paga, tra cui ad es. ferie, tredicesima o TFR. Si tratta insomma di conseguenze economiche non indifferenti.

In ipotesi di assenza ingiustificata, il lavoratore incappa nelle conseguenze disciplinari imposte dall’azienda. In particolare nel contratto collettivo di settore sono menzionati strumenti sanzionatori come ad esempio l’ammonizione scritta, la multa, la sospensione o il trasferimento.

Ad es. nel Ccnl metalmeccanica, all’art. 8 si dispone altresì che l’inosservanza, da parte del lavoratore, delle disposizioni contenute nel contratto può dar luogo, secondo la gravità della infrazione, anche alla

multa non superiore a tre ore di retribuzione oraria calcolata sul minimo tabellare

Discrezionalmente l’azienda sceglierà uno di questi strumenti, per punire il comportamento illecito del lavoratore e per incentivarlo a non rendersi più autore di assenze ingiustificate.

Quanti giorni di assenza ingiustificata per il licenziamento?

Il numero di giorni consecutivi – anche se intervallati da giorni festivi o non lavorativi – oltre cui può essere previsto il licenziamento sono legati sempre a che cosa c’è scritto sul singolo Ccnl. Perciò il datore di lavoro dovrà andare a leggere nel contratto collettivo di riferimento, per conoscere le tempistiche a riguardo.

L’assenza ingiustificata può, in qualche modo, essere ‘tollerata’ dall’azienda. Ma che cosa si intende per tollerare? Ebbene, come visto sopra, l’azienda, prima di giungere al licenziamento del lavoratore, ha la facoltà di applicare delle sanzioni disciplinari meno gravi.

Considerando che la maggior parte dei Ccnl di categoria dispone il licenziamento per giusta causa a fronte di 4 o 5 giorni di assenza ingiustificata, è ragionevole affermare che con una settimana di assenza ingiustificata può scattare il licenziamento.